Capitolo 461: Bella, horrida bella...

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Ottaviano Manfredi quella mattina pareva un fantasma, per il modo in cui vagava per la rocca senza requie e con uno sguardo spettrale che avrebbe fatto impallidire chiunque.

Stava aspettando che la Contessa tornasse dalla caccia, ma l'attesa pareva potersi fare molto lunga e lui non aveva altro tempo da perdere.

Quella mattina, per tramite dell'ambasciatore fiorentino Andrea Pazzi, la Signoria gli aveva fatto sapere che era richiesto il suo intervento nel Casentino. Era ovvio che a Firenze non servissero i venti uomini che avrebbero accompagnato il faentino, ma era altrettanto chiaro che a quell'ordine non poteva disubbidire.

Quasi per certo si trattava solo di un modo per ricordargli che era la Signoria a dargli ordini e non la Tigre di Forlì. In fondo, da che era arrivato in città, in pratica non aveva fatto nulla per Firenze, ma aveva continuato a percepire lo stipendio che la città gli versava. Forse era anche giusto, rimettersi l'armatura e correre a rischiare la vita per quelli che lo pagavano.

Tuttavia le disposizioni erano molto rigide e gli veniva intimato di partire all'istante, non oltre quello stesso pomeriggio e Ottaviano voleva a tutti i costi avere il modo di salutare la Contessa, prima di tornare al fronte.

Gli ultimi giorni erano stati molto concitati, tra lui e Caterina. Quando lei decideva di incontrarlo di notte, dapprima si scambiavano mille promesse, poi si amavano e, invariabilmente, finivano per litigare, in una sorta di danza continua che non dava loro tregua. E in mezzo c'era sempre la presenza ingombrante di Giovanni da Casale che, con la sua statuaria serietà, appariva sempre migliore di quello che - secondo Manfredi - era in realtà.

"State aspettando qualcuno?" chiese Bianca, incontrando Manfredi non molto lontano dalle scale che portavano alle cucine.

Da quando l'aveva scoperto con la madre, la Riario aveva trovato molto più difficile rivolgersi a lui senza arrossire, e quella volta non gli avrebbe nemmeno rivolto la parola, se non gli fosse parso tanto sperso e agitato.

"Sì, sì, ma non preoccupatevi..." disse il faentino, gli occhietti azzurri che si posavano di quando in quando sulla figlia della Tigre: "Mi hanno detto che è uscita a caccia prima dell'alba... Spero che torni presto..."

La ragazza, capendo benissimo quale fosse il soggetto della frase, sospirò e, andando verso le scale, disse: "Se è uscita a caccia è probabile che non torni prima di sera. Quando sente il richiamo del sangue, mia madre perde la cognizione del tempo."

Ottaviano annuì nervosamente e soggiunse, mentre Bianca si allontanava: "Se non dovessi fare in tempo a vederla, potreste dirle che l'ho cercata e che mi scriva?"

"Perché?" chiese la Riario, fermandosi di colpo: "State partendo?"

"Sì. Con venti uomini. Raggiungerò il campo fiorentino nel Casentino." confermò l'uomo, annuendo con gravità.

La giovane valutò un momento le parole dell'uomo e ciò che avrebbero implicato nei giorni a venire. Non era certa che sua madre avrebbe preso bene la partenza di uno dei suoi amanti prediletti.

"Salutate mio fratello, dunque, se lo incontrerete." fu l'unica cosa che uscì dalle labbra della ragazza.

"Non mancherò di farlo." rispose Manfredi, in automatico, inchinandosi appena mentre l'altra riprendeva a camminare, questa volta rapida, come se stesse scappando da qualcosa.


Il castello di Rassina stava finalmente per cedere e conquistarlo pareva ormai un gioco da ragazzi.

Bartolomeo d'Alviano e Guidobaldo Maria da Montefeltro si erano divisi i compiti in modo egregio, riuscendo ad aver finalmente ragione delle difese fiorentine dopo quasi sei ore di battaglia.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Where stories live. Discover now