Capitolo 590: I ragazzi si imbrogliano coi dadi, gli uomini coi giuramenti.

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Malgrado la volontà di entrambi di mettere tutte le carte sul tavolo, sia Caterina sia Giovanni non avevano più aperto bocca. Il silenzio durava ormai da almeno dieci minuti e l'unico scambio che intercorreva tra i due consisteva in qualche sguardo e in sporadici sospiri.

La Sforza avrebbe voluto spiegare al suo amante, una volta per tutte, che lei lo vedeva solo ed esclusivamente come un uomo con cui passare la notte e come un soldato su cui contare in caso di guerra. Avrebbe davvero voluto potergli dire che per lui provava qualcosa di più, ma si era convinta ormai da tempo di non essere più in grado di innamorarsi davvero di qualcuno. Giacomo Feo e Giovanni Medici erano stati gli unici due per i quali aveva provato qualcosa di così forte e totalitario da dimenticare tutto il resto.

Con Manfredi aveva instaurato un rapporto tutto sommato più profondo che con tutti gli altri amanti che aveva avuto dopo il terzo marito, e tuttavia anche con lui la questione non era mai andata oltre un determinato confine.

Nel frattempo Pirovano stava cercando di lottare con se stesso per non riversare sulla donna che aveva davanti tutta la frustrazione che provava. Erano moltissime le cose su cui avrebbe voluto discutere, anche a costo di litigare in modo feroce, ma non aveva il coraggio di toccare nessuno dei punti che gli ronzavano in mente.

"Col Medici – aveva sentito dire da uno dei Capitani, proprio quel giorno, mentre tutti aspettavano che la Tigre arrivasse nella Sala della Guerra – si appartava ovunque!"

"Appartava..." aveva ridacchiato un altro, facendo un'espressione cameratesca che aveva trascinato nelle risa tutti i presenti che potevano ricordare del periodo in cui a corte c'era Giovanni il Popolano: "Diciamo pure che lo facevano dove capitava, senza farsi tanti problemi!"

Nel sentire quelle battute, che erano proseguite, scandagliando i dettagli degli incontri non troppo furtivi del Medici e della Tigre, il milanese aveva avuto un brivido. Non tanto per la libertà di parola che la Leonessa stessa sembrava incline a concedere ai suoi soldati, ma per ciò che quelle parole avevano rievocato in lui.

Gli sembrava passato un secolo da quando, cogliendolo di sorpresa, ma trovandolo pronto, Caterina gli si era avvicinata nella sala delle armi, proponendoglisi per la prima volta, apparentemente senza ammettere rifiuti.

"Se io resto con te – cominciò a dire Pirovano, spinto proprio da quel ricordo – tu mi sarai fedele?"

Caterina, in piedi davanti a lui, scrutò per un istante il suo volto stanco, illuminato dalle candele in modo quasi sinistro. Avrebbe voluto dirgli solo di sì e calmarlo, ma si erano promessi di parlare in modo franco e la Tigre si riteneva una donna di parola.

"Non posso promettertelo." rispose allora lei, mostrando i palmi delle mani.

Giovanni apprezzava la sincerità. Avrebbe preferito un semplice 'sì', ma almeno, sentendosi dire così, ebbe la certezza che la sua amante avesse deciso di non prenderlo più in giro.

"Perché?" le domandò, la voce ridotta a un filo.

"Perché non sono brava a controllarmi." disse lei, senza scomporsi: "E comunque, non te ne farei certo una colpa, se anche tu ogni tanto ti cercassi un'altra donna."

"Puoi scordartelo che io stia con altre donne, se posso avere te. Non sono una bestia come lo era Manfredi. E anche tu, quando stavi con il tuo Giacomo o col Medici però non avevi..." prese a dire lui, senza ragionarci a sufficienza.

Sentir citare il Popolano, e, ancor di più, il Feo, fece agitare la Sforza che, sulla difensiva, ribatté all'istante, impedendogli anche di finire la frase: "Loro li ho sposati. Li amavo. Non mi serviva altro, quando stavo con loro."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Where stories live. Discover now