C633: ...per la fedeltà costante e onorata alla mia Signora!

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"Non mi sembra che la vostra idea abbia avuto un grande successo..." fece Cesare Borja, guardando di traverso Achille Tiberti, giocherellando con la lettera che gli era appena arrivata da parte di Annibale Bentivoglio.

Dopo la serata di festa che era stata concessa agli imolesi, dalla rocca si erano sentiti alcuni colpi di cannone e la popolazione si era immediatamente ritirata nei pochi punti della città che non fossero sotto tiro. In più gli Anziani, gli stessi che avevano convinto gli altri a rimettersi alla clemenza e alla protezione dei francesi, avevano cominciato a fare una processione continua al padiglione del figlio del papa, per chiedere che facesse qualcosa.

L'uomo, stanco del viaggio e già stufo di quella città preda della pioggia, aveva declinato tutto a Tiberti, perché il cesenate aveva tenuto molto a dire che lui conosceva Naldi e sapeva come farlo cedere.

Così, mentre i soldati del Borja aspettavano ai limitari della città per prenderne possesso in modo definitivo, il Duca aveva solo aspettato che Achille tornasse con buone notizie. Gli aveva permesso di disporre delle armi e degli uomini come meglio credeva, ma solo a patto di vedere dei risultati tangibili.

"Ma se non mi lasciate aprire il fuoco..." provò a lamentarsi Tiberti.

"Se il vostro piano fosse stato efficace – lo zittì il Valentino, lasciando lo sgabello da campo e avvicinandoglisi – sarebbe bastato disporre le batterie come avete fatto per farlo smettere. Invece continua a bombardare con cadenza regolare i punti sensibili della città. Volete che io sia il signore di un'accozzaglia di macerie?"

Per la prima volta da che lo conosceva, Achille si trovò ad avere davvero paura del Borja. I suoi occhi scuri lo tenevano imbrigliato come una nebbia nera e il suo viso, così particolare e inconfondibile, quella mattina sembrava esser stato ridisegnato dal diavolo in persona.

"No, ma se non mi lasciate fare fuoco..." provò di nuovo il cesenate, la voce che si rompeva prima di riuscire a finire la frase.

"Non spreco munizioni e polvere da sparo per una cosa inutile." tagliò corto Cesare, allontanandosi di scatto e rivolgendosi all'attendente che aspettava impettito vicino all'uscita della tenda: "Fate venire qui una trombetta. E cercatemi anche Vitellozzo Vitelli. Devo parlargli..."

Siccome Tiberti indugiava sul posto, indeciso se attendere a sua volta ordini o meno, il Duca, tornando al suo sgabello e alla missiva che gli era stata mandata dal figlio di Giovanni Bentivoglio, gli dedicò un'occhiata quasi divertita e poi, con un gesto di sufficienza, gli indicò l'uscita.

Il cesenate, preso alla sprovvista da quei modi, sollevò le sopracciglia, quasi a dire che non aveva capito.

"Levatevi dai piedi." parafrasò allora il figlio del papa, sorridendo mellifluo.

Mentre faceva quel che gli era stato detto, Achille si trovò a pensare che quel ventiquattrenne, descritto da tutti sempre e solo come un incapace ben vestito e pieno di arroganza, aveva solo portato una maschera e che, prima o poi, tutti quanti si sarebbero pentiti di avergli messo in mano un esercito intero.

Il Consiglio di Guerra che Caterina aveva convocato stava durando molto più del previsto. Le notizie arrivate da Imola, che volevano Giannotto traditore, la rocca ancora saldamente nelle mani di Naldi e la popolazione a favore dei francesi, avevano tenuto impegnati a lungo gli uomini della Tigre.

La Sala della Guerra era quasi troppo piccola per tutta la gente che la donna aveva voluto alla sua presenza, ma nessuno osava lamentarsi né per il caldo insopportabile che si era creato, né per lo scarso spazio a disposizione di ciascuno.

I fratelli della Contessa le stavano affianco e, eccezion fatta per Alessandro, che sembrava quello più scettico, l'appoggiavano a ogni esternazione. Anche Paolo e Scipione Riario facevano quadrato attorno a lei e alla Leonessa quella sensazione faceva abbastanza piacere.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Where stories live. Discover now