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Incubi.

Thomas aprì gli occhi di scatto, restando immobile sul letto, incapace di muovere un muscolo

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Thomas aprì gli occhi di scatto, restando immobile sul letto, incapace di muovere un muscolo.
Cercò di riprendere fiato, mentre tentava di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Sentì il calore di un corpo accanto a lui, e involontariamente lo strinse più forte a sè, inspirando profondamente, senza pensarci troppo.
Succedeva tutte le notti.

Sognava. Sempre lo stesso sogno, sempre lo stesso incubo da anni. Gli succedeva così spesso che aveva quasi imparato a conviverci.
Sembrerebbe strano da dire, ma si era quasi abituato a risvegliarsi con la fronte imperlata di sudore, quella fastidiosissima sensazione di impotenza che lo consumava da dentro, e la paura, la paura che sembrava paralizzarlo.
La paura lo rendeva debole, e indifeso, in quei pochi attimi interminabili nei quali, subito dopo aver aperto gli occhi, si ritrovava a fissare il bianco accecante del soffitto, con gli occhi spalancati, le immagini dell'incubo ancora vivide davanti alle iridi marroni, quasi come fossero intrappolate.
Si era quasi abituato a sentirsi stanco, a sentire le gambe addormentate, quasi come se avesse corso fino allo sfinimento.
E si era abituato a dover reprimere i ricordi dell'incubo durante il corso della giornata. Si era costretto a farlo, almeno, pur di vivere una parvenza di vita serena.
Si era costretto a nascondere le sensazioni provate mentre correva in quel labirinto che sembrava senza uscita, mentre il buio lo circondava, e lui si sentiva profondamente solo, nonostante dietro di sè sentisse un continuo scalpitare di piedi, quasi come se stesse conducendo qualcun altro da qualche parte con lui, in quella corsa folle che sapeva tanto di questione o di vita o di morte.
Ogni mattina, cercava di nascondere in un angolo della mente quel profondo senso di angoscia, quella sensazione che sembrava sussurrargli malignamente all'orecchio che da lui dipendeva la vita di altre persone, di altri ragazzi come lui.
Le nascondeva, tutte queste emozioni, le preservava per la notte, per quando si sarebbe ritrovato a farci i conti di nuovo, fra quelle mura di cemento che sembrava non avessero una fine.

Ma quella mattina, fu diverso.
Aveva fatto il solito incubo, lo sapeva, ma sembrava tutto più attutito, le sensazioni, le emozioni, le immagini. Sembrava tutto così sbiadito, appannato, quasi come se lo stesse guardando da dietro un vetro durante una giornata di pioggia.
E così, con il fiato corto, si ritrovò a studiare il corpicino gracile di Newt fra le sue braccia.

Strano come si fossero ritrovati in quel modo, dopo tutti quegli anni. Era quasi paradossale.
Erano partiti dall'urlarsi contro, al ritrovarsi a dormire abbracciati, dopo quasi dieci anni, dopo che uno aveva abbandonato l'altro, lasciando un vuoto immenso.

Thomas sospirò, tentato di staccarsi da lui senza svegliarlo. Non voleva sapere quale sarebbe stata la sua reazione al risveglio.
Non voleva nemmeno immaginare come sarebbe stato. Era giá strano essersi ritrovati, più cambiati che mai, solo per un giorno, ritrovandosi a dormire nello stesso letto, con la consapevolezza che le loro vite si sarebbero nuovamente separate. E stavolta, per sempre.

Perciò sarebbe stato ancora più strano se, non appena la sveglia di Thomas avesse iniziato a suonare, si fossero trovati in quella posizione.
Eppure, pensare che quando erano bambini lo facevano sempre. Thomas aveva i suoi incubi, e Newt cercava la sua mano, e gliela stringeva forte, e tutto sembrava ritornare a posto.

Rainy Days|NewtmasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora