Capitolo 4

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Tornammo nel locale per finire in pace il nostro spuntino, poi pagammo, ringraziammo Claudio e Annarita con la promessa di tornare presto ed uscimmo.

«Guarda che ci conto» commentò Aidan, mentre ci avviavamo verso casa mia, uno di fianco all'altra, le nostre mani che ogni tanto si sfioravano per caso.
«Cosa?» gli domandai, voltandomi verso di lui e studiandolo alla luce della luna. Non ne facevano molti di uomini così belli e che non ostentavano il loro fascino in maniera supponente e insopportabile. Infatti Aidan indossava dei semplici jeans e una t-shirt bianca, nulla di pretenzioso o che gridava ai quattro venti a quale costoso marchio di alta moda appartenesse.
«Quando Claudio ci ha chiesto se saremmo tornati presto al loro locale. Hai detto di sì, con un'aria più che convinta.»
Gli diedi un pizzicotto sul braccio e lo spinsi un po' più in là. «È stata una bella serata, perché non replicarla?» Repressi uno sbadiglio, ormai eravamo giunti in vista del bar e di casa mia. Era arrivato il momento dei saluti.

Chissà perché m'immaginavo Priscilla ancora affacciata alla finestra nonostante fosse passata da un pezzo l'ora in cui andava a dormire. Trattenni una risatina.
Ci fermammo vicino all'auto di Aidan. Lui mi rivolse un grande sorriso. La via era deserta e il lampione sotto il quale ci trovavamo sarebbe stato lo scenario perfetto per un bacio, mi vennero in mente persino un paio di canzoni adatte come colonna sonora.

Il suono che sentimmo non fu però una piacevole melodia da commedia romantica, ma il rumore di due gatti che si accoppiavano.
«Che sia un segno?» Aidan mi guardò con gli occhi socchiusi e si sporse nella mia direzione, bloccando le sue labbra a solo dye centimetri dalle mie.
Voltai il viso e gli porsi la guancia. «Ti ringrazio per la serata, mi sono divertita molto.» Lasciai che la sua bocca si posasse per un paio di secondi sulla mia pelle, poi mi allontanai da lui.
«Buonanotte, Leia!» esclamò lui, ridacchiando e io lo salutai con un cenno del capo, dopodiché entrai in casa.

*

La mattina dopo mi svegliai un pochino controvoglia, perché con Aidan avevo fatto le ore piccole. Arrivai al bar con un quarto d'ora di ritardo rispetto al solito e mia madre mi fece una battutina non appena mi vide: «Ti sei dimenticata che apriamo alle sei e mezza, per caso? Oppure quel bel ragazzo con cui sei uscita ieri sera ti ha già portata sulla cattiva strada?»
Liquidai la sua frase con un gesto della mano e mi avvicinai alla macchinetta dell'espresso per prepararmene uno doppio. Avevo bisogno di più caffeina di quanto fossi disposta ad ammettere. Non ero abituata a fare tardi durante l'alta stagione. Non uscivo molto durante quel periodo dell'anno perché la maggior parte dei miei amici lavoravano anch'essi oppure andavano altrove per le vacanze.

Fu il turno di mio padre di rigirare il coltello nella piaga. «Alla tua età io andavo con gli amici a ballare e mi alzavo la mattina senza alcun problema, pronto a lavorare tutto il giorno. Voi giovani d'oggi non avete più resistenza.»
«Vi ho mai detto che siete proprio simpatici di prima mattina?» ribattei, cominciando a sbadigliare in maniera vistosa e bloccandomi quando vidi entrare un cliente.
Mia madre mi sussurrò di finire con calma il mio caffè, che ci avrebbe pensato lei. Le sorrisi e la ringraziai. Mi aveva preso in giro in maniera affettuosa, ma non intendeva di certo farmi irritare. Ci avevamo messo un po' a tornare in buoni rapporti dopo quello che mi era successo quando avevo solo ventidue anni e certi argomenti erano ancora off-limits per noi due. Ogni tanto non mancava di rimproverarmi per la scelta che avevo preso, ma speravo che prima o poi avrei trovato il modo di spiegarle le mie ragioni e di fargliele comprendere.

Purtroppo sembrava che quella mattina la nostra tregua fosse destinata a interrompersi, perché, poco prima di mezzogiorno qualcuno che non mi sarei mai aspettata entrò nel bar.
Il commento di mia madre dopo che quella persona fu uscita non tardò ad arrivare, tagliente come un coltello: «Ti rendi conto che avresti potuto essere al suo posto?»
Feci finta di non sentirla, per non cominciare una discussione, ma lei non desistette: «Intendi forse rimanere per sempre qui con me e tuo padre, a lavorare al bar, quando là fuori c'è tutto un mondo? Dove tu non hai saputo cogliere l'occasione, c'è stata una persona più furba di te che non se l'è lasciata scappare. Hai visto quanto è raggiante e come parla in maniera soddisfatta della sua vita?»
«Mamma, per favore, non ricominciare con questa storia.»
«Non è "questa storia", qui ne va del tuo futuro.»
«Perché ti sembra così male che io desideri trascorrere la mia vita nello stesso paese in cui sono nata e cresciuta, a fare un lavoro che non mi dispiace? Preferiresti che abbandonassi te e papà e andassi in giro a oziare tutto il giorno?» sbottai, sbattendo con rabbia lo straccio che tenevo sul bancone che stavo pulendo.
«Va bene, ammettiamo che tu sia felice di restare qui, però non è normale che tu non cerchi di avere una relazione stabile. Alla tua età io...»
«Tu eri già sposata e a breve saresti diventata madre, lo so, non tirare in ballo la solita solfa per la centesima volta.»
«Io lo dico per il tuo bene, Lia, non voglio che tu rimanga da sola.»
«Cosa ci sarebbe di male a rimanere da sola? Non sai cosa ho passato, non hai idea di come io abbia cercato di passare sopra le cose, l'infelicità che mi divorava perché sapevo che stavo per fare la scelta sbagliata...»
«Non era la scelta sbagliata e tu lo sai benissimo, sei stata una stupida, una sciocca ragazzina egoista. Non potrai rimandare in eterno il fatto di impegnarti seriamente con una persona, prima o poi arriverà. Era tutto pronto: la data fissata, il vestito, gli inviti erano stati spediti, il ristorante pagato. E tu hai deciso bene che, per colpa di un tuo stupido capriccio, tutto doveva essere mandato all'aria. Ci hai spezzato il cuore.»

Once Upon a SummerWhere stories live. Discover now