Capitolo 12

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«Perché aspettare tanto?» ribatté Aidan, con una luce birichina negli occhi. Si alzò, tenendomi la mano e tirandomi leggermente per un braccio. «Approvo l'idea della colazione in spiaggia, ma che ne pensi di andarci subito e dormire là? Magari dopo un bel bagno...» s'interruppe e si chinò su di me, mormorandomi, a un paio di centimetri dalle labbra: «Anche se qui qualcuna potrebbe averne abbastanza di stare a mollo nell'acqua.» Rise, ma solo per un istante. «Prima, quando ti chiamavo e non rispondevi, all'inizio ho pensato che fossi troppo arrabbiata con me, poi mi sono preoccupato.» Gli mancò la voce e mi alzai in piedi, mettendomi di fronte a lui e prendendogli anche l'altra mano. «Avevamo discusso e se ti fosse successo qualcosa di grave non me lo sarei perdonato» concluse.

«Non è accaduto nulla di male, come puoi vedere sto benissimo.»

Mi alzai in punta di piedi e sollevai il viso verso il suo. «Me lo fai un bel sorriso?» gli chiesi, sorridendo a mia volta.

Gli angoli delle sue labbra si piegarono all'insù, poi mi attirò a sé.

«Posso baciarti?» La sua voce era calda, invitante.

«Solo se questa è l'ultima volta che me lo chiedi prima di farlo» gli sussurrai di rimando, avvicinando il volto al suo.

Lui non se lo fece ripetere e posò la sua bocca sulla mia. Quel bacio fu molto diverso dal primo, senza nessun momento di titubanza iniziale. Insomma, Aidan andò dritto al punto, afferrandomi saldamente per i fianchi e facendo sì che il mio fondoschiena premesse contro il bordo del tavolo. Ero consapevole dell'intensità e dell'intimità crescenti di quel contatto e non mi dava di certo fastidio il petto di Aidan che strofinava contro il mio, ma, insieme alle vertigini e all'eccitazione, cominciai a provare una punta di paura nei confronti di quello che potevano essere le sue aspettative, nonostante avesse detto che voleva andarci piano con me.

Lo spinsi via con fare giocoso. «Non avevi detto di aver voglia di fare un bagno?» Svicolai tra le sue braccia e cominciai a correre. Una volta fuori mi tolsi le infradito che mi erano solo d'intralcio e sentii l'erba fresca solleticarmi le piante dei piedi.

Attila mi seguì per un po', poi rimase indietro. A un certo punto udii Aidan gridare il mio nome e mi sentii strattonare, poi la mia schiena sbatté contro il suo torace.

«Per un pelo!» esclamò, lasciandomi andare, non prima di avermi consigliato di guardare dove poggiavo i piedi.

Controllai il terreno e, a pochi centimetri davanti a me, vidi un regalino lasciato da Attila di dimensioni considerevoli.

«Mi sono dimenticato di tirarlo su oggi e poi mi è passato completamente di mente.»

Scoppiai a ridere. «Certo che quel cane ce la mette tutta a rovinare le atmosfere migliori.»

Lui rise con me, poi ricominciammo a camminare verso la spiaggia, mano nella mano, stando più attenti di prima.

Una volta arrivati in spiaggia, la sabbia era fresca e liscia sotto i piedi e il mare calmo e piatto come una tavola.

Restammo per un po' a contemplare quella vista e a goderci il suono rilassante delle onde del mare. Un pensiero mi attraversò la mente e lo espressi ad alta voce. «Non abbiamo i costumi.»

Alla luce della luna vidi le labbra di Aidan piegarsi in un sorrisetto allusivo. «Non sono stato io quello a correre fuori di casa come se avessi una folla impazzita alle calcagna.»

«A volte parli proprio come se fossi nato e cresciuto qui, sai?» osservai, con tono ironico. In realtà il mio era un complimento, perché, a parte l'accento tipico delle persone di madrelingua anglofona che ogni tanto si faceva sentire in maniera più marcata, aveva un lessico e una grammatica ricchi e impeccabili. Con l'inglese una cosa così io me la sognavo.

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