𝟎𝟕. 𝐓𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐚𝐝𝐞𝐬𝐬𝐨

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"Che stai facendo?"

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"Che stai facendo?"

Feci un balzo, l'articolo mi cadde di mano. Lentamente mi girai e guardai con occhi sbarrati le iridi di ghiaccio di Louis Tomlinson.

"Io... ehm... ecco... veramente..."

"QUELLO E' IL MIO FASCICOLO?"

"No... Cioè sì... Cioè.." Ero nel panico più completo, non sapevo cosa fare né cosa dire. L'unico pensiero coerente che riuscivo a formulare era chiedermi cosa ci facesse in camera a quell'ora. Erano appena le 22.30! Ti pareva se non andavo a beccare l'unica domenica in cui tornava presto.

"Lascia stare! E io che ho quasi creduto che potessimo diventare amici! Ora ricordo perché non ne voglio!" Si girò, i pugni stretti e le braccia rigide lungo il corpo, le spalle leggermente rialzate, quasi lo potevo vedere tremare.

Mi prese un colpo al cuore, davvero voleva essere mio amico?

"Aspetta Lou, ti prego."

"Se volevi sapere qualcosa su di me potevi chiedermelo, non pensi?" La sua voce era spezzata mentre diceva questa frase.

"Te lo sto chiedendo adesso."

"Adesso non serve più, hai letto l'articolo no? Piuttosto perché sei ancora qua? Non dovresti essere a chiedere di cambiare camera? Lo faranno, capiranno..."

"I-io non voglio cambiare camera, io voglio sentire la tua versione." Ma che cazzo stavo dicendo? Aveva ragione, sarei dovuto andare a chiedere di cambiare camera, ma non ce la facevo. Il pensiero di non essere più in camera con lui era assurdo e mi spaventava, molto di più della notizia che avevo appena letto.

"E' davvero importante?"

"Sì." Annuii convinto.

Prese un profondo respiro e si sedette sul mio letto. Non guardava me, anzi si era preso la testa fra le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Intravedevo a malapena il suo viso che fissava il pavimento poiché coperto dai capelli. Io ero immobile in piedi e non riuscivo a smettere di fissarlo. Stette per un po' in silenzio poi parlò.

"E' successo tutto l'anno scorso... doveva essere uno scherzo, non doveva finire in quel modo. All'epoca ero molto popolare in questa scuola. Ero simpatico, facevo il pagliaccio, imitavo i professori, tutti volevano essere miei amici, tutti volevano essere come me senza rendersi conto di che schifo era in realtà la mia vita.

In particolare c'era questo ragazzino, Daniel, che mi seguiva dappertutto, che mi idolatrava. Era del primo anno, molto amico di Zayn, che all'epoca non frequentava Liam e Niall.

Un giorno decisi di fargli uno scherzo, così per giocare. Alcuni, tra cui Josh, cercarono di dissuadermi dal farlo, ma io non li ascoltai... volevo divertirmi. Gli dissi che se avesse superato una cerimonia avrebbe potuto entrare a far parte del nostro gruppo. Come ho già detto quel ragazzino aveva una vera e propria ossessione per me, penso che niente l'avrebbe reso più felice della notizia che gli avevo appena dato. Gli diedi appuntamento per quella domenica, alle due di notte in una radura che si trova sopra a una salita in mezzo al boschetto situato dopo il lago."

Capii subito a quale radura si riferiva, era quella in cui l'avevo visto quella sera mentre piangeva e la cosa mi fece venire i brividi.

"Lo vidi preoccupato quando gli diedi la notizia che sarebbe dovuto uscire di nascosto dal campus di notte, ma la sua determinazione batteva tutto. Penso che Zayn abbia cercato di convincerlo a rinunciare, ma neanche lui riuscì a dissuaderlo. Alle due meno cinque era lì, ansioso e spaventato. Alle due e dieci incominciò a chiamare il mio nome, ma io non gli risposi. Ero dietro a un albero e mi godevo la scena di lui spaventato, mentre iniziava a salirgli la consapevolezza che non ci sarebbe stata nessuna cerimonia, che era stato preso in giro. Alcune lacrime iniziarono ad affiorargli dagli occhi e a solcargli il viso, ma furono presto interrotte da un rumore che aveva sentito. Lo sentii mormorare un "Louis?", ma non ero io. Dalla parte opposta della radura uscì un cinghiale. Spaventato, Daniel fece un passo indietro, ma inciampò in un sasso e cadde nel dirupo che delinea un lato della radura. Io corsi subito fuori dal mio nascondiglio, i miei passi spaventarono il cinghiale facendolo scappare. La mia corsa ovviamente non servì a niente, Daniel ormai era andato. Ancora incredulo, con la speranza di poterlo salvare tornai di corsa al college e chiamai il preside. In qualche modo tutta la scuola si ritrovò presto nella radura dove poco prima c'era stato Daniel. Hanno anche chiamato la polizia per recuperare il corpo e farmi delle domande. Io ero sotto shock e facevo fatica a rispondere alle domande, in più il mio alibi faceva pena. Ero l'unico con lui sulla scena del delitto e la storia del cinghiale sembrava assurda a raccontarla. L'unico motivo per cui non sono in prigione è che non hanno rinvenuto impronte digitali sul suo corpo.

Tutti i miei amici a parte Josh mi abbandonarono, la gente iniziò a trattarmi con freddezza e ad avere paura di me. Non potevo biasimarli, sono un mostro, un assassino. Zayn non me lo perdonerà mai, penso che sarebbe sprofondato se non fosse stato per Liam e Niall. Non sono neanche andato al suo funerale, avevo troppa paura. Non volevo rivedere il suo viso in quello dei suoi familiari che piangevano per lui. Ma non l'ho dimenticato, tutte le domeniche vado a trovarlo nella radura in cui gli avevo dato appuntamento. Mi presento lì ogni domenica, esattamente come sarei dovuto andare ad accoglierlo quella domenica là. Doveva essere un gioco, uno scherzo, ma ciò non toglie che sono un assassino. SONO UN ASSASSINO HARRY, CAPISCI?"

Per la prima volta dall'inizio del racconto alzò la testa e mi guardò. Quello che vidi mi terrorizzò, non tanto per le parole che mi aveva appena detto, ma per i suoi occhi. Erano resi di un azzurro quasi alieno dalle lacrime che gli scorrevano incessantemente dagli occhi. Il viso era contratto in una morsa di disperazione, la stessa che avevo visto nella radura, ma che ora potevo osservare veramente.

"Sono un assassino, Harry, e dovresti scappare da me il più lontano possibile perché sono solo capace di fare del male."

A quelle parole non ci vidi più e agii d'istinto. Mi fiondai sul letto, sul mio letto, sul quale si era seduto e lo abbracciai con tutte forze che avevo. Lui ricambiò l'abbraccio, continuando a piangere sulla mia spalla. Volevo dirgli che non era vero niente, che non era un mostro, che era solo stato un incidente. Che non era vero che era solo capace di fare del male, perché a me faceva stare bene. Volevo dirgli tutte queste cose, ma le parole sembravano essere intrappolate nella mia gola, così mi limitai a continuare a stringerlo, a cercare di mettere tutte le mie parole non dette in quell'abbraccio.

Restammo abbracciati tutta la notte, anche quando fummo stanchi di stare seduti; ci sdraiammo nel mio letto insieme e dormimmo abbracciati.

Forse ero io che stavo sostenendo lui, ma personalmente non mi ero mai sentito meglio in tutta la mia vita.

Stanza 258Where stories live. Discover now