25. Greggi e lupi solitari

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"La strada è lunga" mi disse Lionel, l'ultima sera prima che lo marchiassero e lo portassero via.

"Non voglio. Ho paura."

"Non dovresti. Sii fiera di quello che sei. Non perdere mai il coraggio di alzare la testa, anche quanto tutti gli altri la tengono china. È facile abbandonarsi alla corrente, ma tu combatti, combatti sempre. E percorri la tua lunga strada fino in fondo."

"Ma sarò sola."

L'abitudine lo portò a cercare di sollevare una mano per accarezzarmi, ma le catene sferragliarono quando si tesero al massimo e lo trattennero. "Meglio così."

Sobbalzai. Mi aggrappai alle sue dita fredde, come se stabilire un contatto potesse aiutarmi a cancellare il senso delle sue parole.

Lionel sorrise. "Sarai sola e libera. E la più forte di tutti."

Ho ripensato spesso a quell'ultima conversazione con l'uomo che per me aveva perso tutto. Ci ho riflettuto quando mi preparavo a resistere all'assalto finale della milizia schiavista nell'alba di Mont Maudit; mi sono ripetuta ogni frase mentre venivo trascinata sulla pedana del mercato di Marsiglia e quello sconosciuto magro e pallidissimo si faceva avanti con un sorriso sulle labbra esangui.

Me le sento martellare nella testa in questo preciso momento, insieme al battito del cuore e al ronzio ossessivo del sangue.

Il cancello nero si apre. Mani forti premono sulle spalle mie e di Bevin e ci spingono in avanti.

L'arena, come la chiama Farkas, è un cortile circolare recintato da un'alta muraglia di mattoni, nello stile nudo e squallido tipico del quartiere basso. Una discreta quantità di persone è radunata sul camminamento in cima al muro, una massa indistinta nella notte di Ys. Alcune torce rischiarano l'ambiente e attraverso i miei occhi annebbiati dal panico sembrano brillare come tanti piccoli soli.

Un applauso eccitato scroscia al nostro ingresso.

Deve passare qualche istante di respiri affannosi prima che io sia in grado di riconoscere le figure che già si trovano nell'arena. La prima è Farkas, che ci ha preceduti e si prende gli applausi con un gran sorriso e le braccia spalancate. Rivolge cenni di saluto alla folla e assomiglia davvero a un re nel pieno del suo trionfo. Un re vestito di stracci davanti a un popolo urlante.

Poco lontano, invece, con i polsi incatenati come me e Bevin, c'è una persona che conosco.

"Charlez!" chiamo, incredula.

Lui sembra riscuotersi da uno stato di torpore. Solleva la testa e la muove a destra e a sinistra prima di soffermarsi su di me. Non dice nulla, si limita a socchiudere le labbra in un'espressione di stupore. Con l'aria sfatta e i baffi spettinati riesce perfino a suscitare in me qualcosa di simile all'empatia.

"Charlez, cosa..." faccio per continuare, ma una gomitata mi raggiunge allo stomaco.

"Non ti agitare prima del tempo, ragazzina" sibila Connor, sfilandomi vicino.

Bevin si agita e fa sferragliare le catene. "Non alzare mai più le mani su di lei" ruggisce piano.

La guardia reale stringe gli occhi. "Non sei tu il mio re. I tuoi ordini non contano niente."

"La pagherete. La pagherete cara tutti quanti."

Il Re degli Accattoni ci si avvicina. Mi rivolge appena un'occhiata colma di disprezzo prima di rifilare una pacca sulla spalla di Bevin e rivolgersi a lui in tono confidenziale. "Hai visto? Tutto questo è per te. Scommetto che non hai mai sentito tanti applausi tutti insieme. Di solito qui si... esibisce chi non riesce a saldare i debiti con me."

DescentWhere stories live. Discover now