43. La natura della bestia

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I miei polmoni bruciano. Il respiro è fuoco sulla lingua.

Ingoio un groppo di saliva che sa di sangue e continuo a correre, un gradino dopo l'altro. Risalgo il vano buio delle scale che percorrono in circolo l'intera struttura della torre ovest e sembrano non dover finire mai. Accanto mi passa una sfilata di pianerottoli e porte nere, tutte uguali, tutte silenti.

Le voci di Farkas e dei suoi piovono dall'alto. Devono trovarsi appena qualche rampa più in su. Sono vicini, ma ormai dovrebbe esserlo anche la vetta della torre.

E il re.

Pretendo uno sforzo maggiore dai miei muscoli e faccio urlare le mie gambe. Stringo i denti. Avrò tempo di morire di fatica quando tutto questo sarà finito.

Mi sembra di essere impegnata nella salita da ore, e invece probabilmente sono pochi minuti, quando l'aria assume una consistenza diversa. Più fresca e leggera. I passi e gli schiamazzi del Re degli Accattoni e dei suoi uomini si attenuano.

No...

Divoro l'ultima rampa di scale finché non terminano i gradini. Sopra di me adesso c'è solo un soffitto a calotta, decorato con stucchi e rilievi. Davanti, invece, il marmo pallido della parete si apre in un'arcata a sesto acuto. Al di là, una larga terrazza si affaccia sulla notte nera di Ys.

Per un attimo temo di aver sbagliato qualcosa. Poi distinguo le sagome di Farkas e dei suoi, macchie appena più scure nelle tenebre, che avanzano sulla pavimentazione a scacchiera della terrazza. Il principe Cormac aveva detto giusto: sono in sei, e sembrano più determinati che mai a portare a termine il proprio scopo.

Ruggisco e mi lancio attraverso l'arcata.

La vista mi si schiude all'improvviso, violenta come uno schiaffo inatteso. Barcollo, con la testa che gira per la vertigine e gli occhi colmi di troppa bellezza. Per un momento dimentico tutto, i miei avversari e il motivo per cui sono qui, e resta solo lo spettacolo.

C'è Ys ai miei piedi.

L'intera città sotto il mare si offre languida al mio sguardo. Emerge dalle tenebre come da una coltre, come un'amante sfrontata che non ha paura di mostrare il proprio corpo candido. Da qui non mi sfugge niente: né le facciate arroganti del quartiere alto, né la miseria sbriciolata dei rioni più poveri, aggrovigliati attorno a dedali di stradine. Ys esibisce il proprio splendore e il proprio disfacimento senza alcuna vergogna. Pulsa di globi incantati, gorgoglia di vita. È notte, ma nelle sue vene di pietra scorrono ancora gli abitanti insonni.

L'immensa cupola della barriera sovrasta la città e la protegge. È lo scrigno che racchiude il tesoro dell'oceano.

Farkas. Non devo perderlo di vista.

Mi riscuoto, obbligando le mie gambe a muoversi, e avanzo a passo lento. La punta del bastone struscia sul pavimento.

Se seguo l'alternanza delle piastrelle bianche e nere della terrazza, il mio sguardo oltrepassa il Re degli Accattoni e i suoi, poi scivola per una cinquantina di metri fino al punto in cui si leva un tempietto di pietra a pianta circolare. Qui, al riparo dei fusti sottili delle colonne, sette uomini sono inginocchiati su morbidi cuscini. Hanno l'uniforme e il cranio rasato, come dei militari. O dei membri della guardia reale.

I telepati, perché di loro deve trattarsi, sembrano assorti in uno stato di trance. Sono disposti in modo da attorniare una sedia alta, una scranna o un trono su cui è mollemente adagiata una figura incosciente, eppure più regale che mai. Ha la testa bruna reclinata sul petto e le mani abbandonate in grembo.

Un nodo mi stringe la gola fortissimo.

Bev.

La scarica di emozioni che mi attraversa quando lo riconosco mi lascia folgorata. È vivo. Sono arrivata in tempo.

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