Capitolo XIII

49 2 0
                                    

Prima di recarsi di nuovo alla villa di Peberley per il tè delle 5, la signora Gardiner si raccomandò con sua nipote.

«Eli, senti, stasera vedi di comportarti bene, che se no quando torniamo ti prendo a ciabattate».

«Ah, zi', ma che palle... Perché mi devo comportare bene con 'sto tipo?! Io manco ci volevo andare a casa sua e mo' mi devo sorbire pure la sorella. Speriamo che almeno non sia una zavorra come lui».

«Per l'amore di nostro Signore Gesù Cristo... Lo fai apposta o ti sei rincoglionita del tutto?! Ma non vedi che a quello gli piaci?! Regazzi', ti vuoi svegliare? Se una tipa sbruffoncella e brufolosa come te piace a un riccaccione come Darcy, sai cosa si fa? Te ne stai zitta zitta, buona buona e accetti tutti gli inviti che ti fa, perché è il miglior partito che ti potrà mai capitare. Eli, quello è ricco sfondato, mica come tuo padre, che c'ha le pezze ar'culo. E poi, diciamocelo, è anche un figone».

Di fronte a quell'esposizione così ben argomentata e di fronte a una versione di sua zia così infervorata, ELizabeth non potè fare altro che andare dare un taglio alle stronzate e andare a prepararsi.

Alle 17:00 il fantastico trio stava suonando il campanello di casa Darcy. Una cameriera aprì loro e li condusse al salone del tè, delle stesse dimensioni di metà della casa dei Bennet, il che fece tornare in mente a Elizabeth le parole che la zia le aveva rivolto poco prima e che ancora le facevano rodere il fegato e ribollire il sangue, soprattutto perché lei stessa sapeva quanto fossero la pura verità.

Il signor Darcy fece il suo ingresso trionfale accompagnato da una giovane graziosa, più o meno della stessa età di Lydia, pensò Elizabeth.

«Signori Gardiner, signorina Bennet, sono lieto di presentarvi mia sorella Georgiana Darcy».

La giovane fece una riverenza a ognuno dei presenti e finalmente si accomodarono.

«Gradisce del tè, signorina Bennet?» le chiese Darcy , avvicinando la teiera di porcellana alla tazzina minuscola di fronte a Elizabeth.

«Ma', guarda, veramente... A quest'ora gradirei qualcosa di più forte. Non so, nun se po' fa' un gin tonic?».

«Vedo che nonostante debba essere molto stanca per i molti giorni di viaggio che ha dovuto affrontare ultimamente e che non sono di certo raccomandabili per una signorina delicata come lei, non perde la voglia di scherzare che tanto la contraddistingue. Un gin tonic, alle 5 del pomeriggio. Ahahah, che spiritosa!».

«'Mbè, sì, popo uno spasso... Ma che poi perché il tè lo servi te, con tutti li servi che c'hai».

«Vede, mia cara Elizabeth, anzi Eli, ho dato il pomeriggio libero alla servitù. Un buon padrone di casa di misura dalla sua magnanimità con i collaboratori domestici».

«Se, così te risparmi de pagaje mezza giornata di lavoro, eh... Ratto...» bofonchiò lei, mentre sorseggiava suo malgrado dalla tazzina di porcellana cinese.

«Come, mi scusi? Non l'ho capita bene, signorina».

«No, niente, zi', niente. Senti, ma il bagno 'ndo sta? Me devo incipria' er naso e tutte 'ste cose che servono per non dire che devo anna' a piscia'».

«In fondo a destra, signorina Elizabeth» la informò Darcy.

«E te pareva, manco per quello sei originale» bonfonchiò Elizabeth. «Va be', grazie, eh. Se vedemo».

Ma invece di dirigersi in fondo a destra, Elizabeth uscì in giardino, sfilò dalla giarrettiera una fiaschetta e diede un sorso. Poi tirò fuori dal corpetto un pacchetto di Lucky Strike e se ne accese una, altenrando una boccata di fumo a un sorsetto di whiskey.

«Signorina Bennet?».

Una voce sorprese Elizabeth alle spalle.

«Ma che cazz... Quasi mi rovescio addosso tutta la fiaschetta, li mortacci... Ah, ma sei tu regazzi'».

Georgiana le stava davanti, piantata a terra come un palo, con l'espressione di chi non ha mai rotto un piatto in vita sua.

«'Mbè, chevvoi?» la esortò a parlare Elizabeth.

«Guardi, signorina Bennet... Anzi, signorina Elizabeth... Anzi, ti posso chiamare Eli?».

«Mado', ma c'avete tutti 'sto vizio in famiglia?! Daje, sputa il rospo».

«Senti, Eli, dal poco che mi ha raccontato il mio caro fratello Fitzwilliam, voi due avete avuto occasione di vecervi a un paio di balli a Netherfield e, sai... Ero curiosa di sapere se, per caso, hai avuto l'occasione di conoscere un gentiluomo di nome Wickham».

«Wickham? Ah, sì, me sona, credo che fosse un bel fighetto a cui ho toccato un po' il culo, ma, sai, in una stanza piena di damerini confondersi è un attimo. Mica tutti si chiamano Fitzwilliama, quello sì che è impossibile da dimenticare. Pure il nome da coglione c'ha, er fratello tuo. Vabbe', regazziì, ma perché ti interessa tanto 'sto piskelletto? Te piasce?».

All'improvviso le guance di Georgiana diventarono dello stesso colore di quelle di Elizabeth dopo essersi scolata praticamente tutto il contenuto della fiaschetta.

«Be', diciamo che...» tentennò la signorina Darcy.

«Che? Che c'hai provato e non te l'ha sganciato?».

«Ma no, diciamo solo che...».

«Che, che... Te sei inceppata, regazzi'? To', fai un sorso che magari te sblocchi».

Ma proprio quando Georgiana stava per cedere all'invito di Elizabeth che le porgeva la fiaschetta, le due ragazze sentirono aprirsi la porta-finestra dietro di loro. La giovane Bennet fece appena in tempo a rimettere al loro posto i propri peccati prima che il singor Darcy fece la sua comparsa.

«Signorine, sono contento di vedere che state facendo amicizia e che i miei piani vanno come previsto, visto che questo era proprio l'obiettivo del nostro incontro di questo pomeriggio, ma ormai sta calando la sera e sarebbe consigliabile che rientraste, prima di rischiare di prendervi un brutto raffreddore».

«Eccallà,è arrivato il guastafeste de tu' fratello» disse Elizabeth a Georgiana con l'intenzionedi sussurrarglielo all'orecchio, ma senza rendersi conto che, invece, spintadai fumi del whiskey, stesse urlando così forte che anche i domestici che si stavano affaccendando all'interno della casa, dall'altra parte della porta-finestra, l'avevano sentita e reprimevano risolini mentre spolverano le preziose ceramiche dei Darcy.

Imperterrita, Elizabeth di avvicinò a Darcy e gli propinò un paio di colpi al petto con il dorso della mano, tanto forti che fecero tossire il gentiluomo.

«A Fitz... 'Nnamo, va', che se no se congelamo er culo».

E, senza aspettare che i padroni di casa le aprissero il passo come da galateo, aprì con un calcio la porta-finestra alzandosi la gonna con entrambe le mani e si diresse di nuovo verso il salone da tè.

Orgoglio e precipizioUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum