Capitolo XIV

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Quella sera, quando tornarono alla locanda dove alloggiavano, Elizabeth e i signori Gardiner si intrattennero al bar e bevvero gin tonic come se non ci fosse un domani.

Invece, contro ogni pronostico, il domani giunse lo stesso ed Elizabeth fu svegliata bruscamente da alcuni colpi secchi alla porta della sua stanza.

«Ah zi', ma che voi? Lassame dormi', va', che me scoppia er cervello».

Ma i colpi non cessarono, allora Elizabeth, piuttosto indispettita dalla situazione, si alzo, si buttò addosso la vestaglia e aprì e, con sua immensa sorpresa, non si trovò davanti la signora Gardiner come aveva immaginato, bensì il signor Darcy.

«Ah Fitz, che ce fai qua?!» gli chiese, con i suoi soliti modi garbati, mentre si pettinava con le dita la massa informe di ricci che aveva in testa e cercava disperatamente di darsi un tono.

Darcy, in evidente imbarazzo per la trasparenza delle sottane di Elizabeth, non sapeva dove posare lo sguardo e, dopo essersi schiarito la voce, disse: «Buongiorno, signorina Bennet, speravo di poter scambiare due parole con lei».

«Guarda, non è proprio il momento. Ieri io e i miei zii abbiamo fatto a gara a chi beveva più chupiti di Tequila e ho vinto io, poi so stata sur cesso a vomitare fino alle 4, nun poi capi'... Ma che poi perché te sto a racconta' li cazzi mia, bah... Vabbe', sarà un'altra volta. Stamme bbene, eh».

Elizabeth fece per chiudere la porta, ma Darcy fu più svelto e la bloccò con la punta dei suoi mocassini di pelle firmati Gucci.

«Veramente, Eli, sarebbe una cosa importante...».

«A ridaje con 'sto "Eli"... Vabbe', entra, va', che se no nun la finimo più» e si scostò a un lato per lasciarlo passare.

Darcy, sempre più in imbarazzo per trovarsi davanti a una gentildonna che gli apriva le porte dei suoi appartamenti privati, entrò lo stesso.

«Mbè, che vvoi?» lo incalzò lei.

Darcy, paonazzo, si schiarì di nuovo la voce: «Elizabeth, anzi Eli... Ho motivo di credere che ieri pomeriggio mia sorella abbia tentato di carpirle informazioni riguardo un certo signore contro al quale io stesso l'ho già messa in guardia la sera del ballo a Netherfield...».

«Se, er Wickham... Embè?».

«Non riesco a spiegarlo quanto quello che sto per dirle mi risulti difficile, ma... L'anno scorso quel mascalzone riuscì a convincere Georgiana a scappare con lui».

«Anvedi la regazzina... Me sa che le prudeva là sotto».

Darcy ingorò l'interruzione così delicata di Elizabeth e proseguì: «Per fortuna io lo venni a sapere giusto in tempo per evitare la fuga e spedì un tempo mia sorella a far compagnia a mia zia la Catherine».

«Ah, sì, la vecchiarda... Sì, zi', ma pare tutto perfetto, ma perché me stai a attacca' la pezza a me con 'sta storia?».

«Per metterla di nuovo in guarda, cara Elizabeth: ho motivo di credere che Wickham sia ancora in cerca di una giovane di belle speranze da far cadere nel proprio inganno, per approfittarsi di lei. Vede, ho motivo di credere che abbia anche già scelto la sua prossima vittima... Sarebbe sua... Sua sore...».

Ma proprio mentre Darcy cercava di pronunciare quelle parole per lui impronunciabili che sembravano non arrivare mai, la porta della camera di spalancò e la signora Gardiner fece la sua entrata nello stupore generale, anche lei arruffata, anche lei in vestaglia.

«Elizabeth, tua sorella! Quella stronzetta di Lydia! Quella piccola zoccolet...» ma, rendendosi conto che la nipote non era da sola, si zittì all'istante e rimase a fissare Darcy ed Elizabeth con occhi stralunati, immaginandosi il peggio.

«Eli, ma... ma... Anche tu, proprio tu... ma...». Poi, all'improvviso, passò dall'incredulo all'incazzato nero e iniziò a sbraitare: «Ma che cazzo vi succede, a voi sorelle Bennet?! Vi siete impazzite tutte, per caso?! Vi siete messe d'accordo per impazzire tutte lo stesso giorno e fare impazzire pure noi?!».

Elizabeth, che un po' guardava sua zia e un po' il signor Darcy, ma continuava a non capire nulla di ciò che stava succedendo, ma intuendo vagamente i sospetti della signora Gardiner, cercò di rassicurarla: «Ah zi', ma che te sei impazzita te per caso? Io, con questo damerino?!» E, gettando un'occhiata di indignazione a Darcy, che intanto era diventato ancora più paonazzo, aggiunse: «Ma quando mai!».

Intanto in corridoio si udirono dei passi e, come conseguenza di quei passi, anche il signor Gardiner si unì a quel simpatico quadretto. Anche lui, in un primo momento, rimase perplesso, ma si riprese molto più in fretta di sua moglie e fece finta che trovare Darcy in camera di sua nipote mezza nuda fosse perfettamente normale.

«Elizabeth,» disse con voce imperiosa «abbiamo appena avuto notizie sconcertanti: tua sorella Lydia è scappata con il signor Wickham. Nessuno riesce a rintracciarli, ma la cosa più probabile è che abbiamo intenzione di sposarsi. Sempre se non l'hanno già fatto, ovvio... Dobbiamo partire subito, ordini della tua signora madre. Signor Darcy, spero che capisca l'urgenza della situazione, i miei ossequi».

E, dopo aver spiegato in poche frasi quello che sua moglie non era riuscita a dire, il signor Gardiner fece una piccola referenza verso l'altro gentiluomo presente nella stanza, girò i tacchi e se ne tornò da dove era arrivato, cioè in corridoi, lasciando gli altri tre lì, a guardarsi come degli stoccafissi e senza sapere molto bene cosa ci si aspettasse da loro ora che la bomba era stata sganciata e la vergogna incombeva su casa Bennet.

Orgoglio e precipizioWhere stories live. Discover now