Duello d'onore

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Ain si era diretto verso il percorso d'addestramento che tante volte aveva superato. Osservò i muri da scalare, il terreno fangoso in cui aveva strisciato, le falci che aveva evitato.

Mosse dal vento, le lame in piritio dondolarono. Quel metallo non si macchiava, smussava o piegava. Avrebbe potuto trucidare mille vite e sarebbe stato ancora immacolato.

Vicino al percorso il suolo aveva spalancato le fauci per inghiottire le sue prede. Ain, in piedi di fronte a quell'abisso nero, annusò l'aria: era ancora impregnata del tanfo della carne marcia di chi aveva fallito. Vite stroncate e dimenticate, corpi di ragazzi ambiziosi ridotti a cibo per vermi.

I più sfortunati erano quelli che non morivano in fretta: a volte Wasat lasciava che crepassero lentamente, per far comprendere appieno ai soldati i tempi di morte, altri erano salvabili e venivano condotti nelle varie carceri dei regni, divenendo assistenti o, più probabilmente, cavie.

Ain aveva sempre fatto dell'agilità il suo punto di forza: voleva sentire l'aria sul viso, fuggire dai suoi problemi e sfogare l'ira repressa. Andò oltre il percorso di morte e attraversò i primi tre campi, trovandoli vuoti, ma nel quarto c'erano vari apprendisti intenti a lavorare il terreno sotto gli insulti di un ufficiale.

I maghi di terra procedevano lentamente con le mani puntate verso il suolo, che si apriva al loro passaggio; Ain sorrise ironico quando si rese conto che dovevano ancora recitare le formule. Poco oltre, un giovane comandava le acque per abbeverare le piante, stando attento a non sprecare neanche una goccia. "Un buon soldato deve essere anche un buon agricoltore", diceva Wasat, ma quegli insegnamenti erano per i nobili minori o per i protetti. L'economia stessa dell'Impero si reggeva sulla magia, perché un solo mago poteva e doveva essere in grado di fare il lavoro di mille contadini.

Nel campo dopo il suolo era stato trafitto da un massiccio palo di metallo: simili ai frutti di un albero malefico, pendevano sei gabbie in cui giacevano gli scheletri dei condannati a morte. Ain sentì le loro orbite vuote che lo fissavano. "Potevo essere io", pensò. Era stato lì che aveva sconfitto Dabih e che la sua vita sarebbe potuta finire, ma, quando Wasat aveva ordinato di ucciderlo, Dabih stesso li aveva fermati con un urlo.

Sul momento aveva creduto che fosse un atto di rispetto, poi aveva capito che era servito solo a illuderlo. Dabih non lo aveva ucciso subito perché voleva romperlo un pezzo alla volta e farlo crollare per la disperazione. 

Un ululato di sconfitta perforò la notte: doveva essersi conclusa la prova di un apprendista del sesto anno. Lupi, foglionchi, crocotte e bestie del genere erano gli avversari più comuni, ma gli "incidenti" capitavano spesso e qualche volta un apprendista veniva ritrovato morto in circostanze misteriose. Non c'erano ordine e disciplina, solo degli schiavi che lottavano tra loro. Ain si era immaginato, qualche volta, come avrebbe potuto essere una rivolta, ma aveva capito in fretta che non sarebbe stata possibile: piuttosto che sfidare i piani alti, i futuri soldati avrebbero rivelato tutto per poter fare bella figura. Erano cani, non esseri umani.

Il vento mutò direzione e portò il miasma della palude che circondava il campo. Ain ricordava bene la prima volta che lo aveva sentito.

I pochi frammenti del suo passato si ricostruirono nella sua mente. Suo padre e sua madre si erano sposati da giovani, ma non era stato un matrimonio sereno. Quella vita aveva rapidamente annoiato suo padre, che aveva dilapidato i soldi della famiglia per comprarsi delle armi e andare in cerca di avventure. Quel povero idiota era morto alla prima missione. Ain ricordava come sua madre si fosse chiusa a chiave in una stanza e avesse pianto per giorni, prima di uscire e sfogare la propria frustrazione sul figlio che le aveva rovinato la vita. Non ci aveva pensato due volte prima di venderlo all'accademia per una manciata di monete.

Prima Ain aveva sofferto e pianto. Poi l'aveva odiata come non aveva mai odiato nessuno. Si era anche chiesto se quelli fossero stati davvero i suoi genitori. Come molti, aveva coltivato la speranza che un giorno potesse presentarsi alle porte dell'accademia un padre segreto di ricche origini. In un paio di occasioni era capitato, anche se non invidiava quei ragazzetti che erano stati portati via da un vecchio decrepito dall'aria lasciva.

L'avvento dell'ImperatriceWhere stories live. Discover now