Espansione

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Dabih, seduto su un divano, bevve avidamente dalla coppa tempestata di gemme. I festeggiamenti e il vino lo avevano aiutato a dimenticare i brutti pensieri. 

La sala centrale in cui si stavano svolgendo era rotonda e collegata ad altre tre, poco più piccole e disposte a semicerchio come servitori intorno a un trono.

Ogni sala era ricolma di vetrate: vi erano candide fenici che assalivano draghi dalle squame d'arcobaleno, paladini scintillanti che trionfavano su demoni glaciali, intrepidi eserciti che travolgevano le armate angeliche; dietro ai vetri, dei bracieri proiettavano variopinti ricami di luce. A cicli irregolari, scanditi dalle musiche, le fiamme si trasformavano: le piume delle fenici si illuminavano come se stessero realmente ardendo, le armi parevano fiaccole, i guerrieri sembravano prender vita.

Grazie al suo bell'aspetto, ai suoi modi eleganti e alla sua cultura, Dabih era riuscito a non inimicarsi le giovani lady dei Megrez. Alcune di loro erano dotate di una bellezza rara, quasi magica. Non c'era da stupirsi che fossero considerate delle discendenti delle fate, ma altre erano alte e massicce al punto da sembrare uomini dai volti androgini.

Dabih si umettò le labbra: sua madre era stata per metà una Megrez ed era vissuta durante la Crisi degli Ottant'anni. Le Megrez che erano cresciute sotto il dominio di Bellatrix, invece, avevano un portamento fiero, alla vita tenevano legati un libro e un'arma, segni della libertà mentale.

Le voci sulla Regina dei Megrez le rendevano ancora più strane: Bellatrix aveva fama di aver avvelenato il marito, sgozzato i genitori nel sonno e fatto assassinare gli altri pretendenti al potere.

Wasat, munito di ventaglio, si sedette vicino al nipote. Aveva il naso decisamente più rosso rispetto all'inizio del ricevimento. Non aprì bocca, ma Dabih sentì la sua mente avvicinarsi. Com'era tradizione, per le faccende private si utilizzava la telepatia. "Ti ho osservato. Hai fatto un discreto lavoro".

Dabih assentì. La recitazione era l'arte più importante, per un aristocratico. Nessuno avrebbe affidato una posizione di potere a chi non sapeva fingersi un'altra persona, perché più ti conoscevano, più potere avevano su di te.

"Adesso ascoltami. Preparerò una spedizione che ci frutterà grande gloria".

Dabih mise una mano in tasca, estrasse un ventaglio e lo usò per coprirsi il volto. "Spero non una militare".

"Il confine è già difeso da re Rigel. Dobbiamo concentrare le nostre attenzioni sulle Terre di Nessuno, dove ci attende il tesoro segreto dei Dubhe".

Dabih ricordava che una volta quel casato aveva tentato di prendere possesso del resto del continente. La spedizione si era conclusa con un fallimento clamoroso. Non avevano avuto abbastanza risorse per rendere fertile quel territorio devastato e i selvaggi che ci vivevano avevano dato il colpo di grazia. 

"Il nostro obiettivo non sarà né conquistare né organizzare, ma saccheggiare. I resti della fortezza saranno pieni di tesori".

Dabih era esitante. Fuori dai confini dell'Impero non c'era alcuna protezione. "Come fai a saperlo?"

"Lo raccontò a gran voce la mia trisavola e lo scrisse nei suoi libri. Grazie alle arche organizzeremo un sistema di rifornimento. Useremo i cannoni e le truppe saccheggeranno le vestigia del casato".

Dabih ci rimuginò sopra. "Non abbiamo i mezzi". A palazzo aveva scoperto che, a suon di mandare coscritti da re Rigel, i campi avevano perduto parte della forza lavoro e i raccolti erano marciti prima di poterli raccogliere.

"Ed è qui che entrerà in scena Acrux. Quando gli renderemo omaggio, imploreremo umilmente il suo aiuto".

Dabih era preoccupato. In qualità d'Imperatore, Acrux aveva accesso al tesoro divino. Wasat, propositore e organizzatore, avrebbe avuto diritto a gloria e ricchezze, se l'impresa fosse riuscita. "Ha già le sue colonie, perché non ha ancora preso questi tesori?"

L'avvento dell'ImperatriceWhere stories live. Discover now