Diplomazia

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Selene era partita col favore delle tenebre insieme ad Afea, un'empusa guerriera di poche parole, e un gruppo di nove neanidi. Numerose e instancabili, nascevano da uova deposte dalle matriarche, anziane di lignaggio minore rispetto alla Grande Madre.

Le due empuse cavalcavano dei barghest adulti di discreta qualità, mentre le neanidi le seguivano in groppa a degli scartati. Inadatti alla riproduzione, erano reietti che esistevano solo per svolgere le mansioni più umili o con minore possibilità di successo, destinati a non lasciar discendenza.

Selene era consapevole della mancanza di fiducia della Grande Madre: le dominatrici, capaci di influenzare attraverso il potere della loro voce, sarebbero state delle migliori ambasciatrici, ma le esperte erano state inviate a controllare dei sovrani minori e di certo i Mizar avevano tenuto in considerazione il loro intervento.

Controllò una tasca: durante i preparativi con Perseide aveva pensato che una particolare selenite sarebbe servita. In quel piccolo gioiello aveva riposto le sue speranze di riuscita. 

Il barghest di Afea si fermò ad annusare l'aria, ringhiò e agitò la coda. L'empusa diede l'ordine e gli animali ripresero la corsa, lasciando profonde impronte.

Selene non sapeva nulla di lei e nemmeno durante le pause aveva spiccato più di una parola. Non era riuscita a chiederle perché le streghe, che s'infiltravano regolarmente, non avevano saputo prima dell'invasione, assassinato e rapito i generali o sabotato le trattative.

La Grande Madre aveva bisogno della guerra per far vedere il proprio potere e far tremare le colonie dei Mizar. Dopo un simile trionfo molti regni minori sarebbero stati disposti a servirla in cambio di sopravvivenza e protezione.

Selene strinse più forte le redini. Avrebbero usato il suo progetto per finanziare la guerra. Come poteva pensare di poter smuovere le coscienze di un intero popolo e andare contro la volontà della Grande Madre, araldo della Luna?

Il suo cuore era ottenebrato dal dubbio. Era consapevole di non avere il carisma per portare dalla sua centinaia di sorelle, e anche se ci fosse riuscita avrebbe diviso le empuse in due fazioni. Era l'ultima cosa di cui avessero bisogno. La priorità era proteggere la sua gente a qualunque costo.

La marcia si arrestò dopo due notti e due giorni. Le empuse scorsero gli esploratori umani, in cima a una collina, ben prima che questi si accorgessero di loro. 

«Auguriamoci che conoscano il nostro linguaggio» commentò Selene srotolando una luna crescente bianca su uno sfondo stellato: la tenebra diveniva luce così come l'ostilità poteva trasformarsi in una tregua.

Afea rispose con un grugnito.

La giovane strega tentò di stemperare la tensione. «Qualsiasi cosa accada, sappi che è stato davvero bello parlare con te».

Afea non la guardò nemmeno.

«Sul serio, sei un'ottima ascoltatrice».

Afea creò una sfera luminosa, che si accese e spense più volte. Selene agitò lo stendardo.

I soldati di vedetta puntarono gli sguardi, poi uno di loro si girò e galoppò via. Il resto del gruppo scese in tutta fretta dalla pianura.

Selene ingoiò l'ansia. Provava il desiderio di ritirarsi. Se la sua intuizione l'avesse ingannata avrebbe condannato sé stessa, Afea e le creature al loro servizio. Avrebbero dilaniato i loro corpi e li avrebbero esposti per demoralizzare le sorelle o spingerle a compiere gesti sconsiderati. 

Sollevò le spalle: quei bruti dagli stemmi del Leone Dorato, regno che stabiliva la sua gerarchia in duelli corpo a corpo, non dovevano vederla incerta. Avrebbe parlato la lingua comune degli eruditi - un retaggio dell'Impero delle empuse - e usata nelle trattative tra regni lontani. 

Il loro capo era ancora più alto e robusto di lei. «Siete venute a succhiare il cazzo al Re Drago, puttanelle?»

L'avvento dell'ImperatriceWhere stories live. Discover now