22|Dichiarazione di guerra

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Era la sera del 30 ottobre 2019. Mi ero accovacciata sopra il solido rampo di un abete secolare, ad osservare la luce che proveniva dalle finestre dell'Accademia.
Mi era stato detto poco prima di entrare nel dormitorio che Paul era stato catturato e torturato dal direttore e che una ragazza aveva fatto pressione a Gregorio per organizzare una spedizione per salvarlo.

Così aveva mandato me, una tredicenne inesperta. Quell'uomo aveva troppe aspettative su di me, ma non volevo deluderlo. E poi non era stata del tutto sbagliata l'idea di mandare solo me. 
Non davo nell'occhio e poi ero l'unica dei guardiani che conosceva ogni corridoio ed entrata dell'Accademia. 

Scesi dall'albero senza fare rumore. Mi bruciavano le mani perché le avevo sfregate sulla corteccia ruvida, ma era un dolore sopportabile, nulla in confronto a quello che aveva patito Paul. 

Paul... povero Paul... dovevo andare assolutamente a salvarlo.

Mi incamminai lungo un sentiero di foglie, piccoli massi ricoperti di muschio e cespugli fino ad arrivare alla rete che delimitava il territorio dell'Accademia. 
Da lì in poi sarebbe iniziata la vera sfida. Non era un gioco, rischiavo di morire se non stavo attenta. 

Presi un grosso respiro e passai sotto la rete di ferro, facendo attenzione a non impigliarmi la felpa nei pezzi di ferro sporgenti. Non dovevo lasciare tracce. Io ero un fantasma per loro e dovevo rimanerlo, almeno fino a quella sera.

Il mio più grande ostacolo erano le telecamere. In realtà non credevo che qualcuno potesse essere tanto attento da guardare ogni telecamera dell'Accademia (cioè quasi un centinaio, che si alternavano ogni tot minuti) per tutta la notte. Conoscevo le guardie, molte erano pigre e stanche di tutta quella tranquillità. Infatti trovavano divertenti le risse e i battibecchi tra studenti, almeno avevano uno spettacolo a cui assistere durante le loro ore di servizio. 

Mi appiattii nell'erba. Era cresciuta molto e, secondo la routine mensile dell'Accademia, l'avrebbero tagliata il primo novembre. Mi era andata di fortuna, in un certo senso, avevo qualcosa che celasse la mia presenza. 

Strisciai lentamente per tutto il campo, fino ad arrivare a qualche metro dall'entrata. Quella era la parte più difficile. Un paio di guardie sorvegliavano l'esterno e si alternavano con i propri colleghi ogni cinque minuti. Ad ogni cambio ci mettevano circa sette secondi. 
Rimasi lì a cronometrarli per circa una decina di minuti, contando i secondi nella mente.

Quando ci fu il cambio di guardia, mi alzai dal nascondiglio e iniziai a correre. Mi sentivo leggera, come se l'aria non mi stesse facendo resistenza, anzi, mi stava spingendo verso l'entrata. 
Superai la porta di vetro e mi nascosi dietro al portone della mensa mentre due guardie sbucavano dal corridoio vicino e prendevano il posto delle altre. 

Primo ostacolo: superato. 

Ora dovevo superare il secondo: uscire dal mio nascondiglio e trovare Paul. 

Mr. Slave doveva averlo nascosto in un luogo insonorizzato e inaccessibile a tutti meno che alle persone autorizzate a lui. Un posto... Guardai in basso. ...sottoterra. 
Era lì, percepivo la sua presenza.

Dovevo fare in fretta. Sbirciai dal vetro superiore della porta. Notai la telecamera in alto. Si spegneva e si riaccendeva a intervalli di... Iniziai a contarli. ...dieci secondi. 
Dovevo percorrere tutto il corridoio in dieci secondi. Togliamone la metà per aprire il portone e le cose si facevano impossibili. Ma fallire non era un'opzione. 

3... 2... uscii mezzo secondo prima che la telecamera si spegnesse, correndo verso il mio obiettivo: le scale. 
Sentii la stessa sensazione di leggerezza di poco prima. Stavo per scendere le scale quando sentii la vibrazione di sei paia di scarponi. 

Presa dal panico, iniziai a scendere velocemente e mi nascosi in un armadio di metallo nel corridoio, usato per metterci dei tubi da giardinaggio. Un tempo pensavo che fosse inutile, ma dovevo ricredermi, mi aveva appena salvato la vita.

Dalle piccole fessure superiori, riuscii a vedere le sagome dei sei ragazzi attraversare il corridoio.

«Perché dobbiamo andare nella cella di Paul a quest'ora della sera?» chiese Andrew stropicciandosi gli occhi dalla stanchezza.

«Perché lo ha ordinato il direttore» rispose Bryn come se fosse ovvio. 

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