Bunny

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Una parola: genio.

Mona Awad ha la seria possibilità di creare un piccolo fenomeno; Bunny, se fosse per me, sarebbe un libro cult. Bunny dovrebbe diventare un libro cult. Pubblicato nel 2019, ha raggiunto recentemente gli scaffali italiani con la casa editrice Flamingo. 

A tutti i miei amici l'ho descritto così: prendi come base un Mean Girls un po' più Dark Academia, fallo scrivere a Stephen King, ma prima che lui abbia iniziato a scrivere fagli sniffare qualche bella striscia di coca. Infine, aggiungi un pizzichino di Chuck Palahniuk, ma solo un po'.

Ecco a voi Bunny.

Ora, vista la descrizione, non è un libro che mi sento di consigliare a tutti. E' molto, molto strano, molto anticonvenzionale, molto gore ed esplicito, non è un libro che punta a piacere alla più larga fetta di pubblico possibile. Chiarito ciò, continuiamo.

La storia si incentra su Samantha, una ragazza con un passato complicato che frequenta un corso elitario all'Università, un corso di scrittura creativa. Il tutto grazie a una borsa di studio. Diversamente dai suoi compagni, infatti, lei è di una famiglia umile, ha un passato imperfetto e non riesce affatto a ritrovarsi nelle sue uniche quattro compagne di corso. Queste compagne di corso sono, appunto, le Bunny.

Infiocchettate e avvolte in abiti un po' strani e un po' da bambina, occupate sempre a dirsi frasi smielate, a chiamarsi vicendevolmente con nomignoli carini (Bunny, appunto), a mangiare cupcake colorati e a scrivere testi volutamente criptici, tanto indecifrabili quanto, probabilmente, privi di un vero significato. Ma del resto la loro università, la Warren, è riconosciuta per il suo essere alternativa, sperimentale, d'avanguardia. 

All'estremo opposto delle Bunny, ricche, viziate e sempre contente, abbiamo Ava. Ava l'unica vera amica di Samantha, Ava con i suoi look estremi, la sua povertà che non incide negativamente nella sua vita, povertà in cui lei sguazza e sopravvive senza problemi, che la rende più intelligente, più viva. Ava che è libera, ha lasciato l'università, è selvaggia e vera, bella e schietta. 

La nostra protagonista, messa al confronto con entrambi i "soggetti", ossia le Bunny e Ava, è molto meno straordinaria, molto meno simile a un personaggio idealizzato di un libro. Come ammette lei stessa, la sua vita non è un granché. Non riesce a osare quanto Ava, non è incisiva o ribelle quanto lei, non è aperta e anticonformista, si limita a cercare di sopravvivere nell'ambiente a cui non riesce ad adattarsi ma che al contempo non vuole lasciare, sente di aver perso la voglia o la capacità di scrivere, è timida, solitaria, chiusa. E' meno decisa, è più insicura, più pronta a farsi trascinare. 

Ma il libro non è tutto qui. Non posso dire molto perché c'è una grande quantità di spoiler e colpi di scena in mezzo, ma la narrazione, partendo da questa base, arriva a cambiare strada più volte, in un eterno cambio di generi, la storia svolta da un tema all'altro, quando credi di aver capito di che cosa il libro parli davvero ecco che l'autrice fa una svolta a U in mezzo alla strada e tu ti ritrovi a guardare un altro panorama. Si parte da Mean Girls e si arriva a una riflessione sulla creatività, sulla povertà, poi si viene catapultati in un Midsommar, esplodono conigli, da qualche parte arriva anche il discorso sulla malattia mentale. 

Non so cos'altro aggiungere. E' strano, è davvero strano. Ma ha un ottimo stile (molto scenografico, sembra un libro perfetto per trarne una serie tv o un film, sembra davvero di vedere tutto ciò che è descritto), coinvolgente, intelligente, divertente a tratti ed estremamente grottesco. Per tutti? No.

Ma se siete attratti dall'anticonvenzionale può davvero fare per voi.

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