12. Il principe azzurro

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C'era suo padre. La barba incolta, gli occhi color caffè, la pancia gonfia e prominente e quel naso rotto che una volta aveva reso il suo profilo così austero e al contempo affascinante.

«Papà.» Mormorò commosso. Allungò la mano per sfiorarlo.

Lui gli sorrise affettuosamente.

C'era quell'odore... Sì certo, si era scordato del suo profumo, ma ora riusciva a sentirlo, riusciva a rimembrarlo, era dentro le sue narici, inondò il suo cuore.

Era tornato?

«Riportami a casa, papà.» Voleva un suo abbraccio, voleva sentire il suo tepore, quel senso di protezione che solo un genitore può darti, nascondersi sul suo petto, scoppiare a piangere, pregarlo di rimanere con lui, di salvarlo.

Non voleva andare all'Accademia, lui non era un orfano, lui ce l'aveva una famiglia. Era lui la sua famiglia. Perché? Non l'avrebbe più rivisto così.

Lo sapeva? Lo sapeva che questo era il loro ultimo addio?

Suo padre continuò soltanto a sorridere scuotendo la testa. Non rispose alle sue suppliche, ai suoi pianti disperati. Lo guardò muto.

«Papà...»



Il sogno si infranse in mille granelli di polvere.

Spari, urla, il suo corpo che si contorceva per gli spasmi, le mani gonfie di dolore.

Qualcuno di fianco a lui si muoveva celermente, spostando l'aria col suo enorme peso.

Altri spari, forse una mitragliatrice. I proiettili rimbalzarono su un blocco di cemento, sopra le loro teste. C'era puzza di bruciato, di sangue, di sudore e di urina.

Non riusciva a muovere il torace. Qualcosa lo pungeva al fianco.

Era vivo o morto? Chi poteva dirlo.

«Papà...»

«No, Tomas, non sono tuo padre, basta ripeterlo.» Sbottò una voce dura e fredda come il ghiaccio.

Altri spari.

«Siete in trappola, giovani arcadiani, arrendetevi e vi doneremo una morte indolore.» Annunciò una voce gracchiante. «O forse no.» Ritrasse l'offerta, facendo sogghignare i suoi compagni.

Tomas socchiuse le palpebre.

I capelli biondi di Ulrik e i suoi penetranti occhi celesti furono la prima e unica cosa che riuscì a captare con chiarezza.

«Il principe azzurro.»

L'altro lo ignorò, troppo concentrato sull'aspra battaglia che stava avvenendo in quella trincea improvvisata dietro un pilastro di cemento per badare ai suoi vaneggiamenti.

«Ma io non sono la tua principessa. Sono solo un ladro.»

Richiuse gli occhi.

Ulrik si voltò verso il ragazzo e tenendo imbracciato il fucile, ormai quasi scarico, lo scosse prendendolo per il bavero della maglietta fradicia. «Resta sveglio, Tomas! Resta sveglio!»

Era stata pura fortuna. Aveva sentito il botto, un vetro che si infrangeva e un corpo che rimbalzava sull'asfalto. In quella città deserta ogni minimo rumore riecheggiava sulle mura vetuste dei palazzi diroccati. L'aveva trovato così, avvolto in un telo, in fin di vita.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora