39. Elefanti

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Mille anni fa, in quella zona, era impensabile avvistare un pachiderma. La Terra però aveva subito enormi sconvolgimenti che avevano mutato irrimediabilmente la sua struttura geologica e gli habitat naturali degli esseri che la popolavano.

Un tempo, gli antenati di quegli elefanti erano rinchiusi in gabbie, alcuni lavoravano al circo, altri risiedevano in cosiddette "riserve protette".

Un tempo, milioni di anni prima, quegli animali erano venerati come dei. Esseri nobili, ineffabili, longevi giganti, i veri titani della terra ferma.

Purtroppo, la razza umana contribuì all'estinzione di tutte quelle creature la cui mole era infinitamente superiore alla propria.

Gli elefanti, inoltre, divennero col passare dei secoli molto ambiti per le loro zanne ricurve. L'avorio veniva lavorato per farne oggetti di vario uso quali gioielli e suppellettili. Agli uomini non importava di dover uccidere per ricavare da quei denti oblunghi collane o graziose statuine da usare come soprammobili. Spesso, anzi, l'avorio veniva utilizzato per scopi religiosi: bassorilievi di imperatori dalle supposte origini divine, reliquiari romani, fogli sottili su cui si incidevano versi del Corano, immagini della Madonna, dei Santi, presepi e corredi di nozze, ma anche scacchiere, spille per capelli, souvenir, braccialetti, orecchini, crocifissi, rosari e cornici.

Sempre l'uomo infine decise di salvare proprio quella razza dall'estinzione. Non era ben chiaro il motivo, non fu certo il senso di colpa a infervorare quella giusta causa. Era più un voler tramandare alle nuove generazioni la bellezza di quegli esemplari. Una testa prominente, una lunga proboscide, un collo breve e arti possenti e rugosi, occhi piccoli, saggi e intelligenti, orecchie enormi, simili a parabole, una coda sottile che terminava con un ciuffo di setole nere, grosse e rigide come fil di ferro.

Enormi, indolenti, severi e incontrastabili.

Si avvicinarono in branco, il maschio più imponente in testa insieme all'anziana del gruppo. Il loro passo era lento, ma non erano per nulla impacciati, anzi. Avrebbero potuto facilmente attaccarli, riducendoli in brandelli sotto quei loro pesanti zoccoli.

Hans constatò che il loro aspetto era ancora più maestoso di come era stato raffigurato nei testi sull'arca. Probabilmente, in quei mille anni, senza la presenza dell'uomo, gli animali si erano fatti spazio, anche fisicamente.

Avevano riavuto ciò che era loro di diritto.

«Non sparate» ripeté Eva, con gli occhi fissi sul capogruppo. L'anziana femmina marciava solenne, dettando il ritmo ai suoi successori. Il maschio in testa al suo fianco era pronto a difenderla in caso di aggressione. Gli altri si preparavano allo scontro. Feroci devastatori contro un esile gruppo di Titans. Le loro pallottole avrebbero potuto ostacolarli, ma non fermarli.

Sarebbe stato un bagno di sangue.

Lo era già stato in passato.

Era questo che quegli occhi scuri e vividi le stavano comunicando.

Avvertì Ulrik alle sue spalle, si era avvicinato silente, con le mani che ancora stringevano con ardore la canna del fucile appeso al collo.

Quando si arrestarono, a pochi passi, ai ragazzi sembrò di essere stati in apnea per svariati minuti. Non osavano muoversi, non osavano nemmeno distogliere lo sguardo. Ogni muscolo era teso fin quasi a spezzarsi.

Attendevano mentre l'adrenalina rifocillava le loro vene. Attendevano, ma non sapevano cosa.

Eva fece qualche passo in avanti.

Sentì il comandante seguirla, dietro la sua schiena. Lo bloccò con un cenno.

Si avvicinò alla proboscide che fungeva da naso, da labbro, da mano e da braccio. Le sue dita sfiorarono la pelle spessa e dura, cuoio invecchiato, un corpo forte, che per un attimo invidiò loro.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora