45. Adrenalina

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Sul manuale di anatomia Umana di Aniruddha si narrava un fatto curioso. Una donna, un'Umana, in un'epoca molto arcaica, era riuscita a sollevare una macchina per salvare il figlio che vi era rimasto incastrato sotto. Secondo alcuni studiosi gli Umani in situazioni di emergenza erano in grado di compiere sforzi incredibili. La percezione di una minaccia estrema attiverebbe la produzione di un ormone secreto dalle ghiandole surrenali, denominato dagli Antichi adrenalina. Grazie a questa molecola, nota da tempi immemori, l'organismo sarebbe in grado di aumentare esponenzialmente le proprie forze. Il sistema respiratorio si distenderebbe per effetto di questa magica sostanza, per massimizzare la propria capacità, e verrebbe così rilasciato glucosio dai depositi nei muscoli. Il glucosio, una volta scisso, sarebbe infine in grado di produrre quantità notevoli di energia.

Tutto molto teorico, secondo i Titans. Teorico e lievemente esoterico. Era impossibile riprodurre a livello sperimentale queste ipotesi per verificarle in un laboratorio, per questo tutto ciò assumeva un'aura particolarmente occulta. I Titans dubitavano di questi superpoteri: leggende metropolitane, spettacolarizzazione dei media. Stronzate.

Eva conosceva i limiti del suo corpo, li aveva sperimentati personalmente uno a uno. E mentre il peso di Ulrik gravava sul suo torace, mentre le gambe stringevano il busto ispido del cavallo, mentre le mani si aggrappavano alle redini improvvisate con la cintura di Shani e la pelle iniziava a creparsi, ripensò a quanto inutili fossero quelle assurdità.

Adrenalina o superpoteri, scienza o esoterismo, leggende o verità, non faceva più alcuna differenza.

Semplicemente quando non avevi altra scelta, l'unica possibilità era quella di lottare, fino alla fine.

E lei avrebbe lottato fino alla fine.

Sua sorella le ripeteva spesso un aforisma di un Antico scienziato: "la struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso."

Aveva visto quegli insetti al villaggio. Era vero, erano totalmente inconsapevoli della loro massa corporea. Ma non era quello che rendeva loro possibile il volo: era che non potevano fare altrimenti. Un calabrone che non fosse stato in grado di volare sarebbe stato presto un calabrone morto.

Avrebbe voluto spiegarlo alla sorella, Marianne avrebbe capito.

Sentì Ulrik gemere. Cercò di stringerlo a sé, nonostante le sue braccia fossero intorpidite dal dolore.

«Manca poco» mentì.

Il cavallo aveva tagliato per la pianura, attraversato un centro abitato e poi virato verso valle. Erano tutte zone che loro avevano accuratamente circumnavigato: troppo scoperte, troppo pericolose.

Ma il destriero sembrava conoscere tutte le scorciatoie, la strada più breve per arrivare a casa. Sembrava sapere con esattezza il percorso che avrebbe dovuto fare per salvarli. Per salvare entrambi.

"Se muore lui, sono morta anch'io."

Questo era stato il suo messaggio. La vibrazione emanata sul pianeta Terra. L'ordine perentorio.

«Ulrik?» Il ragazzo aveva emesso un rantolio, sembrava che faticasse a respirare.

Una pallottola gli aveva perforato lo stomaco, una un polmone, l'altra aveva sfiorato la sua valvola in titanio. Poteva sentirla pulsare, adesso, visto che teneva la guancia contro la sua schiena. Un battito anomalo, artificiale, assomigliava al ticchettio di una bomba a orologeria con un timer integrato. Solo che non leggevano l'ora, non sapevano quanto ancora gli restasse da vivere.

Era inquietante, le faceva impressione.

"Se lui muore..."

Quante probabilità avevano? Quante probabilità c'erano? Da quanto erano in viaggio? Quanto ancora avrebbe potuto sostenere tutto quel peso? Quanto ancora lui avrebbe potuto continuare a resistere prima di crollare?

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora