38. Battito accelerato

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La stanchezza si fece sentire e al posto della febbre l'Umana cominciò a soffrire di una tosse stizzosa, secca e molto fastidiosa che a volte la lasciava quasi senza fiato. Nonostante ciò, ripresero la marcia e lei riuscì a tenere comunque un buon ritmo.

Tomas e Shani avevano ripreso a scherzare. Non più come all'inizio, con quelle provocazioni un po' indulgenti e i flirt nemmeno troppo velati. Chiacchieravano amichevolmente, mantenendo sempre una giusta distanza, senza eccedere, senza valicare mai i confini. Quando Shani osava troppo, il ragazzo si zittiva, le concedeva un sorriso gentile e accelerava o rallentava il passo, in modo da allontanarla. Era un segnale inequivocabile il suo, perfino Kuran era riuscito a coglierlo. Le cose non sarebbero mai più tornate come prima, non dovevano tornare come prima, era un capitolo chiuso di un libro perduto. La ragazza ne era pienamente consapevole, eppure ne soffriva, ogni giorno di più. Col pilota non voleva più parlare, non avevano più nulla da dirsi, non riusciva a guardare negli occhi Ulrik, il vecchio amico d'infanzia che aveva da sempre sottostimato, non aveva confidenza con Hans, odiava in maniera viscerale Bea, ed Eva, con la sua salute cagionevole, non le permetteva di sfogarsi a dovere, visto che quei sintomi influenzali, in confronto ai suoi drammi amorosi, sembravano di tutt'altro livello di gravità.

La notte si rannicchiava nel sacco a pelo e piangeva in silenzio. Non sapeva nemmeno lei bene il motivo. Lasciava solo scorrere le lacrime soffocando i gemiti sul palmo della mano.

«Tre giorni di cammino» declamò il professore. «Tra tre giorni dovremmo arrivare a destinazione. Dobbiamo superare questa valle qua, un po' scoperta, poi giungere ai piedi del pendio e costeggiarlo per un'altra ventina di chilometri. Lì, prima di questo fiume, che non so se ci sarà ancora in questa stagione, dovrebbe esserci il fatidico villaggio. E lì sorgeva una volta anche un rinomato centro di telecomunicazioni. Secondo Luis alcuni piatti satellitari sono sopravvissuti. Probabilmente è da lì che è stato inviato il suo ultimo messaggio.»

Il professore tracciò con il dito il loro percorso, per la milionesima volta. Nessuno lo stette a sentire.

Il comandante si era di nuovo messo in disparte, seduto contro il tronco di un acero, con gli occhi chiusi e le braccia appoggiate sulle ginocchia, come se riposasse. Per la prima volta, non aveva cenato. Non era da lui, di solito così ligio ai suoi doveri da non sottovalutare mai il benessere fisica e il giusto apporto di nutrienti.

Aveva un'aria afflitta, tormentata ed era senza appetito.

Si portò una mano sul petto e cominciò a massaggiare il muscolo, spingendo coi polpastrelli verso l'interno, come se potesse trapassare la sua stessa carne e scavare fino ad estirpare quella maledetta valvola in titanio.

«Sei stanco?»

Alzò gli occhi artici su di lei, trapassandola senza volere con una freddezza spietata. Poi si addolcì. Abbassò lo sguardo e un lieve sorriso solcò le sue labbra.

Eva si sedette a fianco a lui, ignorando gli sguardi velenosi dell'altra ragazza, troppo poco distante, e quelli un po' più sorpresi degli altri compagni.

«Nessuno me l'aveva mai chiesto» rispose dopo parecchi minuti di silenzio.

Lei era rimasta lì, immobile, con le gambe incrociate a fissare inquieta quegli occhi glaciali così tristi e malmessi. Stava male e nessuno se ne rendeva conto. Stava male, ma non parlava, si teneva tutto dentro. Stava male, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di aiutarlo, non avrebbe mai permesso a nessuno di scoprire la sua vulnerabilità.

«Non hai comunque risposto» replicò lei, forzando un sorriso.

«Forse è per questo che nessuno me lo chiede.» Tornò a verificare il battito, gli era sembrato di avvertire un fremito nel braccio sinistro. «Sanno che non risponderei.»

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora