48. Insieme

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Il comandante pronunciò tutto d'un fiato la sua confessione, reggendo con uno stoicismo che non gli apparteneva lo sguardo imperscrutabile di Evangeline. E fu così doloroso e al contempo così liberatorio che gli ricordò la sensazione di quando gli Antichi gli avevano sparato: l'angoscia di morire e il sollievo che a breve sarebbe comunque tutto finito.

Aveva confessato.

La ragazza rimase immobile qualche minuto. Le sue pupille scure fremevano alla ricerca di qualcosa in lui, di qualcosa che non riusciva a trovare. Un'indagine spietata e approfondita fin dentro le sue viscere, nei meandri della sua corteccia cerebrale, poi giù in gola, attraverso la laringe e la faringe e di nuovo dentro la sua gabbia toracica, tra lo spazio pleurico e il suo cuore artificiale, in quel corpo tenuto insieme da filamenti di titanio e brandelli di carne sempre meno umani, sempre più alieni. Si sentì aggredito da quella perquisizione indiscreta, senza pudore, senza pietà. Comprendeva che lei cercava delle prove, ma lui non poteva fornirgliele.

Lui non poteva offrirle nient'altro.

Non si sorprese quando lei strattonò bruscamente il suo braccio, liberandosi dalla stretta che si era allentata ormai da tempo, e indietreggiò scura in volto.

Uscì dalla stanza sbattendo la porta di legno.

Senza voltarsi, senza dire nulla.

Ma in fondo, per Ulrik, era giusto così.

Lui non si era mai aspettato nulla.





Shani smontò dal turno di guardia all'alba. Le doleva il collo, iniziò a sgranchirselo mentre camminava verso la sua tenda.

La sua tenda...

Evangeline era tornata a dormire in infermeria, Tomas si era trasferito da Hans, Kuran e Ulrik avrebbero condiviso la stanza, quando l'uomo si fosse rimesso in sesto.

E lei? Lei avrebbe dovuto stare da Eva, ma non voleva più alloggiare in quel luogo. Troppi ricordi, troppa amarezza. Non voleva ritrovare pezzi del suo cuore infranto, pensieri lasciati da parte, sentimenti calpestati, anche un poco di rancore, e tanta, troppa nostalgia.

Adesso divideva la stanza con Ciara e il piccolo Olly, che si svegliava minimo due volte a notte, piangendo e strillando come un dannato.

Per questo aveva accettato ben volentieri di fare la guardiana notturna alla barriera. Almeno di giorno avrebbe potuto riposare.

Ma non aveva mai sonno, non riusciva comunque a dormire.

Si girò verso i campi.

Tomas era in piedi a petto nudo appoggiato a una vanga. Era stato incaricato di dissodare il terreno in attesa della piantumazione. Stranamente, lo stava facendo per davvero.

I capelli umidi aderivano alla fronte, gli addominali ben scolpiti erano cosparsi da un leggero strato di sudore, le ossa del bacino sporgevano da sopra i pantaloni a vita bassa e le punte delle sue dita brillavano di venature argentate.

Esitò quel che bastò per farle prendere la decisione più rischiosa e assurda della sua vita.

Perché Shani era così: naturalmente portata a reazioni precipitose o violente. E questa volta sarebbe stata precipitosa, avrebbe incarnato la definizione stessa di impulsività. Questa volta se ne sarebbe fregata di quello che sarebbe dovuta essere, di quello che avrebbe dovuto fare. Questa volta sarebbe stata se stessa, senza rimpianti.

Ne avrebbe accettato le conseguenze, come sempre.

Lo decise così, su due piedi, senza rifletterci più di tanto. O forse era una decisione maturata da tempo, in un groviglio intricato di emozioni contrastanti e pianti incontrollabili.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora