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Domenica 6 maggio 2018

Ci aveva portato il fratello dell'Ale che appena poteva mi squadrava per capire cosa esattamente ci facevo con quelle due. Ci stava a mala pena nel posto del guidatore, sembrava una Jeep Renegade infilata a viva forza dentro una Yaris.

Non chiedetemi esattamente la cronaca della giornata, per la Cate diciamo che era andata bene, alla fine era venuta da noi ancora in costume, zampettando sul pavimento bagnato, capelli umidi in punta, asciugamano ancora tra le dita. Con il sorriso aveva abbracciato con trasporto l'Ale e poi me, il costume bagnato sul corpo ancora teso per lo sforzo, ma non irrigidito come era successo la volta prima, era nel suo elemento naturale. Era serena, era soddisfatta, aveva in circolo un sacco di adrenalina e io l'avevo abbracciata sentendola così e soprattutto andando a contatto vero con il suo corpo per la prima volta.

«Grazie» aveva semplicemente detto.

Mi era salito un desiderio feroce, che rischiava di vedersi ad occhio nudo se non scappavo da qualche parte a calmarmi. Avevo tolto il disturbo in fretta dicendo «Vado in bagno che me la faccio addosso» e nel bagno invece ero finito a menarmelo con foga: in due minuti avevo fatto, rimanendo con un gran bruciore là sotto e la rabbia per non essermi controllato.

Mi ero lavato le mani due volte, non volevo dare il minimo sospetto di quello che avevo fatto, e al ritorno c'era ancora quell'aria elettricamente felice. In mille altre occasioni simili avrei fatto un selfie, ma chiederlo poteva rompere il felice equilibrio, mi ero rigirato il telefono in mano un paio di volte poi me l'ero infilato di nuovo in tasca.

Quando eravamo usciti era già il tramonto, alle spalle la piscina ancora accesa e illuminata, dove la Cate era ancora alle prese con il tifo per le compagne nelle ultime gare di giornata. Erano i primi giorni di maggio e tutto virava sui toni dell'arancione e del rosa grazie agli ultimi raggi del sole. Noi aspettavamo Spezzaossa, come affettuosamente soprannominavo il fratello dell'Ale, senza che lui lo sapesse ovviamente.

«La Cate aveva una gran paura di questa gara, me l'aveva detto mille volte».

«Si era capito che era importante per lei, è normale aver paura di qualcosa di importante, no?».

«Per quello sperava ci fossi pure te».

«Ho portato fortuna».

«No, non è solo questo» aveva detto, poi dopo una pausa interminabile aveva sospirato, «era una gara dove ci sarebbero state tante persone, tanti occhi. Insomma, aveva paura di andare giù per il contorno, non per la gara. Anche io ho paura quando va giù, perchè non sono capace di tirarla su. Le hai dato sicurezza, una cosa che io non riesco a fare».

«E non ho dovuto fare nemmeno fatica dai».

Non ero proprio presente. Ripensavo ai postumi dell'abbraccio, così furiosi, irrazionali, pensavo al fatto che lei aveva avuto paura degli sguardi e alla fine quello che aveva fatto veramente il maiale vedendola in costume era quello che pensava fosse li per "difenderla". Tenevo in mano il cell ma di fatto non lo guardavo, senza nemmeno accorgermene avevo passato almeno trenta storie e non avrei saputo dire di chi erano.

Poi mi aveva abbracciato lei. Spiazzandomi.

«Sei speciale. Anche per me».

Sentivo le sue braccia che troppo spesso avevo semplicemente visto fendere l'aria torturando le fibbie dello zaino, i capelli scomposti che le ricadevano sul volto piegato su di me, il seno sinistro che mi premeva dolcemente sul fianco destro.

Avete presente quando non sai cosa fare ma devi fare qualcosa? Finisci per scegliere la cosa sicuramente più stupida, tipo baciare la migliore amica di quella su cui ti spelli il pisello.

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