Capitolo 13

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Piccoli fiocchi di neve scendevano nel campo di concentramento, adagiandosi a terra dolcemente in quell'asfalto macchiato di rosso, come a commemorare le anime spezzate.
I Kapò urlavano e spingevano i detenuti, che barcollavano e tremavano sotto il freddo di Febbraio, coperti soltanto dall'indumento leggero a righe.
Ester si guardò le mani, fredde e screpolate, non si sentiva più la faccia dal freddo e gli occhi le si chiudevano automaticamente.
La pancia le gorgogliava mentre scavava, sentiva i suoi organi muoversi e cercare di lavorare normalmente mentre lo scheletro le gracchiava usurato e i muscoli le bruciavano disperatamente.
Piccole nuvole di aria condensata le fuoriuscivano dalle labbra viola, mentre la mente era in fermento.
Quella sera si sarebbe attuato il piano progettato da Helma.
Adeline non era a conoscenza del suo coinvolgimento, sapeva che l'avrebbe convinta a trascorrere la notte inchiodata nel suo letto, ma in cuor suo sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato.
Aveva bisogno di partecipare, ormai sentiva il bisogno di scappare da quella ruotine, oppure avrebbe finito per strapparsi gli occhi per non vedere più ciò che ogni giorno in quel campo era ordinario.
Finirono di lavorare prima del solito a causa dell'occasione, l'appello fù anch'esso sbrigativo e ben presto si ritirarono tutti nei propri letti.
Ester sorrise ad Adeline, mentre si adagiava con lei nel pagliericcio dei letti a castello.
-Buonanotte.- disse la francese, guardandola dolcemente.
-Buonanotte.- mentì Ester, cercando di non far trapelare nulla dalla sua tonalità.
Le diede le spalle, mentre ascoltava il suono del respiro della donna diventare gradualmente più profondo e lento, aspettò qualche secondo, assicurandosi che dormisse e poi si alzò.
Uscì dalla baracca, di solito la Kapò dedicata al suo casotto teneva compagnia agli altri soldati a quell'ora, e uscita non trovò nessuno a guardia della porta.
Doveva stare attenta alle ronde dei soldati, che giravano per l'accampamento all'erta.
Si strinse il tessuto nella testa rasata a zero per proteggere la nuca, poi cominciò a camminare velocemente tra i vari edifici.
Si guardò avanti e indietro, facendosi calore con le braccia strette al corpo, mentre perle di sudore le scivolavano sulla fronte.
La paura e l'adrenalina si mescolavano insieme nel suo intestino, dandole la nausea, ma in quel momento non era il caso di vomitare.
Arrivò al punto prestabilito senza problemi, trovando Carlotta che l'aspettava.
Le rivolse un sorriso e un occhiolino, per poi indicare la torretta di osservazione, che illuminava il terreno circostante con grandi fari luminosi.
Dovevamo aspettare che Helma e le altre intervenissero per agire.
Ci fù un grande frastuono proveniente da una zona indefinita e i due soldati nella torretta si allarmarono.
Poi cominciò a sentirsi il rumore degli spari e dei piedi che sbattevano sul suolo, urla e comandi agitati.
Il piano era iniziato.
I due soldati si guardarono confusi, per poi cominciare a scendere velocemente e raggiungere i loro commilitoni in fretta e furia.
Appena furono abbastanza distanti, Carlotta diede uno spintone a Ester. –Forza! Che fai lì impalata?-
All'improvviso Ester si era fermata in preda allo sgomento, mentre si rendeva conto che quello che stava facendo era estremamente sbagliato.
Ma ormai c'era dentro fino al collo.
La ragazza si mosse velocemente verso la cabina elettrica, scoprendo presto che era chiusa a chiave.
-E' chiusa!- urlò Ester sopra il rumore degli spari e l'odore di sangue fresco.
-Cazzo!- imprecò la donna nella sua lingua mentre cercava di aprire la porta, guardandosi intorno disperata.
-Se non ci sbrighiamo, qualcuno si accorgerà di noi!- disse l'ebrea con gli occhi rossi che si riempivano di lacrime e rimorso.
Non avrebbe dovuto cacciarsi in quella situazione, le mani le tremavano ed era entrata in iperventilazione.
Moriremo tutte, pensava, morirò qui.
Cominciò a singhiozzare mentre Carlotta si buttava con tutto il corpo sulla porta.
Una prima, una seconda volta, una terza, finchè con un urlo di disperazione e tutta la forza che aveva in corpo riuscì ad aprirla.
Ester entrò subito, mentre Carlotta gemeva di dolore tenendosi la spalla, molto probabilmente slogata o fratturata in seguito alle ripetute spinte.
Fece per avvicinarsi a lei preoccupata, ma l'italiana le urlò feroce:-Il piano, maledetta ebrea! Segui il fottutissimo piano!-
La rossa non fece caso all'insulto, ormai abituata, e guardò confusa le leve e i pulsanti, le luci rosse e i segnali di avvertimento che si trovavano nel muro davanti a lei.
Si ricordò le parole di Helma.
C'è una leva con scritto "circuito alimentazione generale", tu devi abbassare quella, e poi il gioco è fatto!
Con gli occhi che saettavano a destra e sinistra finalmente la trovò, e non esitò neanche un secondo.
La prese e la abbassò.
In un attimo tutto divenne scuro, non c'era più niente ad illuminare, solo il buio.
-Carlotta, possiamo andare!- disse la ragazza girandosi verso la donna, accasciata a terra nella penombra.
Non ricevette risposta, così si avvicinò a lei, cercando di chiamarla. –Carlotta?-
Arrivata abbastanza vicino, indietreggiò barcollando e inciampando nei suoi stessi passi, mentre un singhiozzo amaro le usciva dalla bocca.
Carlotta aveva due fori sulla testa da cui usciva sangue, che aveva imbrattato il bel volto chiaro.
Gli occhi erano vitrei e senza vita, fermi in un'espressione sorpresa, con la bocca socchiusa e pallida.
Deglutì, mentre le lacrime le scendevano copiose nelle guance, ma non ebbe tempo per il cordoglio visto che sentì le urla dei soldati avvicinarsi alla cabina.
Subito superò con un balzo il corpo morto dell'italiana, correndo velocemente verso la propria baracca.
Doveva trovare Adeline, poi sarebbe corsa fuori dal filo spinato.
Nella semioscurità vide le donne correre con il sorriso sulle labbra verso la libertà, per poi essere tutto spezzato dalle armi da fuoco.
I soldati cominciarono ad ucciderle senza pietà, mentre a una a una cadevano nel terreno senza vita come foglie autunnali, afflosciandosi su se stesse con negli occhi ancora impressa la speranza.
Ester si fermò sui suoi passi, certa che se si fosse mossa, avrebbe fatto la stessa fine.
Deglutì, ora era bloccata, non poteva avanzare e non poteva ritornare indietro, che fare?
Decise che entrare in una delle baracche lì vicino sarebbe stata l'opzione migliore, mescolandosi tra le altre ragazze per il tempo necessario a far calmare le acque.
Poi sarebbe ritornata in tempo per l'appello, in modo da non creare sospetti nei suoi confonti.
Fatto dietrofront però si ritrovò faccia a faccia con una SS.
Le si mozzò il respiro, guardandolo negli occhi iniettati di sangue.
-Dove credi di andare, Miststück?- disse premendo la canna della pistola sulla sua fronte.
Ester indietreggiò e lui si mosse con lei, come se stessero danzando sulla stessa musica, la melodia della morte.
La giovane era pietrificata, terrorizzata, non riusciva a pensare a niente di logico da dire, era sconvolta da quell'evoluzione di avvenimenti.
Aveva il corpo paralizzato, messa a muro dal soldato che ansimava per la corsa, aveva il labbro sporco ancora di salsa e le guance rosse, il suo alito puzzava di alcol.
Probabilmente era stato disturbato alla cena, ma la cosa non la rincuorava.
Deglutì, mentre pensava a un modo per evadere da quella situazione.
Si guardò intorno, disperata, ma nessuno venne a salvarla, il terreno accanto a lei era un campo santo pieno di cadaveri e pozze di sangue.
Prese un grande respiro e cominciò a fare la cosa più naturale che le venne in mente.
- Im HaShem lo yivneh vayit
shav amlu vonav bo
im HaShem lo yishmar ir
shav shakad shomer.-
cominciò a cantare le lodi che aveva imparato in sinagoga, che l'avevano accompagnata fin da piccola con dolcezza.
Li sentiva chiaramente cantare intorno al tavolo a pranzo, quando tutta la famiglia era riunita e i bambini giocavano fra loro.
Il nonno, rabbino, che sbatteva il pugno sul tavolo, facendo vibrare i bicchieri insieme ad amici di famiglia che battevano le mani a ritmo e sorridevano, intonando le canzoni.
Si ricordava il nonno cantarla insieme alla madre e alla zia, mentre il soldato premeva il grilletto e lei stringeva gli occhi, appigliandosi a quel ricordo disperatamente.
- Hineh Hineh lo yanum
lo yanum ve lo yishan
lo yanum ve lo yishan
Shomer Yisra'el.
- continuava a cantare anche lei, mentre apriva gli occhi, e vedeva il generale disperarsi verso la pistola scarica, usata per togliere la vita ad altre donne.
Lei sorrise, mentre le lacrime le scivolavano calde nelle guance, continuando quella nenia.
Il cuore le si riempì di felicità, mentre guardava il soldato che per l'irritazione grugniva e smantellava la povera pistola, buttandola per terra ferocemente.
L'uomo urlò, sputandole adirato sul viso. -Smettila di cantare, schifosa ebrea! – per poi assestarle un pugno al lato destro del viso, facendola svenire sul colpo.

The Nutcracker SuiteWhere stories live. Discover now