Capitolo 26

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Buon pomeriggio!

Come promesso, un altro capitolo a distanza di una settimana dal precedente. Forse, e sottolineo forse, la settimana prossima riesco ad aggiornare due volte, perché vorrei che tra questo capitolo ed i prossimi due non passi molto tempo. Tutto dipende da quanto riesco a scrivere in questi giorni, poiché vorrei comunque tenere sempre un po' di capitoli di vantaggio per essere certa di non farvi mai aspettare più di una settimana.

Detto questo, è stato bello ritornare e spero che la storia stia continuando a piacervi tanto quanto due anni fa!

Un bacio e buona lettura x

***

HARRY'S POV:

Avevo come la sensazione che qualcuno mi avesse aperto la testa e tirato fuori il cervello, che lo avesse colpito ripetutamente con un batticarne e lo avesse infine rimesso al suo posto completamente spappolato. Per questo, nei primi secondi dopo aver ripreso conoscenza, aprire gli occhi mi sembrò essere una delle cose più difficili che avessi mai fatto in tutta la mia vita, così come lo furono, subito dopo, il provare a rendermi conto di dove fossi o di cosa fosse successo.

La prima cosa che i miei occhi furono in grado di mettere a fuoco fu una parete grigia a pochi centimetri dal mio viso, mentre la prima cosa che percepii fu la morbidezza delle lenzuola e del materasso su cui ero apparentemente disteso. Avendo solo quelli come indizi a disposizione, fui inizialmente certo di essere in una camera di motel e che, voltandomi, avrei trovato Prim distesa al mio fianco, ancora immersa nel mondo dei sogni; quasi sorrisi, addirittura, nel sentire una mano poggiarsi sul mio braccio e scuotermi delicatamente, ma mi bastò concentrarmi sulla voce profonda e maschile che accompagnò quel gesto per tirarmi bruscamente fuori dal mondo idilliaco che avevo appena costruito nella mia mente.

«Hey, tutto bene?» stava chiedendo quella voce, ed il fatto che non fosse per niente familiare mi fece spalancare subito gli occhi. «Hai bisogno di un bicchiere...»

Mi misi a sedere di scatto mentre immagini confuse mi tornavano velocemente in mente, aumentando spropositatamente sia il mio mal di testa che il panico che mi stringeva il petto. Immagini di fari di un'auto che investivano me e Prim nella strada buia e deserta. Immagini di persone che ci circondavano, di pistole puntate su di noi e, soprattutto, dello sguardo colpevole e spaventato di Prim mentre lanciava la mia tra i cespugli e lasciava che Freesia le puntasse alla tempia la stessa arma che, poco prima, mi ero guardato bene dal metterle tra le mani.

Misi rapidamente da parte tutti quei ricordi e le emozioni forti che li accompagnarono per focalizzarmi tuttavia sul presente, nel quale mi trovavo in una stanza dalle pareti grigie, le finestre sbarrate e, soprattutto, nella quale era presente un uomo sconosciuto che mi fissava con aria un po' preoccupata, un po' in allerta.

«Chi cazzo sei?» sbottai, faticando a mettermi in piedi quando la testa mi girò e, con essa, l'intera stanza. «Dove mi hanno portato?»

«Ti prego, stai tranquillo,» provò l'uomo, il suo tono così pacato da darmi sui nervi, «so che sei agitato, però non...»

«Dove cazzo sono?» quasi gridai, sentendo il cuore battere come un tamburo contro il mio petto. «Chi sei? Cosa diavolo...»

«Ti prego,» tentò di nuovo l'uomo con aria supplichevole, stavolta indicando con il mento in direzione di un altro letto posto in un angolo della stanza, «la spaventi, se continui a parlare a voce alta.»

Non ebbi la più pallida idea di cosa volesse dire con quell'affermazione fin quando, tra l'ammasso di coperte poggiate su quel letto, non notai la piccola sagoma rannicchiata di una bambina di cui solo gli occhi erano visibili mentre spiava dal suo nascondiglio.

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