Chapter 5

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LOGAN

Ricordo come se fosse ieri quel giorno, quando la felicità era ancora dentro al mio corpo e nessuno minacciava di portarla via, o io non mi ero ancora accorto di quello che stava realmente succedendo.

Cameron era venuto a giocare a casa nostra un pomeriggio dopo scuola, noi eravamo in giardino a giocare con la palla da football mentre le nostre madri erano chiuse in cucina a spettegolare sugli ultimi gossip che avevano sentito dalle colleghe la mattina stessa a lavoro.

Io stavo illustrando a Cameron come fare un passaggio perfetto, come mi aveva insegnato il coach il pomeriggio prima, e stavo passando la palla a mio fratello, con la faccia protetta dal casco di nostro padre, almeno quattro taglie più grandi della testolina di quella peste di soli 6 anni.

Mentre facevo finta di lanciare la palla a Noah, facendolo muovere goffamente da una parte all'altra del giardino, avevamo sentito una portiera sbattere violentemente, mentre l'uomo di cui ancora noi ci fidavamo stava camminando con una postura rigida lungo il vialetto e arrivando davanti alla porta d'ingresso chiusa, per far sì che l'aria corrente non facesse prendere il raffreddore alle due donne sedute lì dentro.

Nostro padre aveva cominciato a tempestare di pugni la porta, non dando neppure il tempo alla mamma di alzarsi e andare ad aprire.

<<Chi è?>> chiese la voce dolce e materna che solo nostra madre aveva.
Mio padre subito cominciò con la sua sgarbatezza.

<<Fatti da parte che devo entrare>> non le aveva dato neppure il tempo di fare un passo indietro che la aveva già scaraventata sulla porta con una spinta. <<Ti avevo detto di spostarti!>> le aveva urlato contro, non curando della presenza della madre di Cameron in casa.

Io, Noah e Cameron stavamo osservando la scena da lontano, spaventati dal forte rumore che aveva emesso la mamma andando addosso alla porta e dalla voce bassa di nostro padre.

Avevo guardato dritto negli occhi la mamma, preoccupato dal comportamento aggressivo del marito, ma lei come sempre aveva nascosto il suo dolore nel profondo del suo cuore, cercando di far finta che tutto andasse bene, almeno davanti ai suoi figli.
Questo aspetto caratteriale lo aveva anche Ashley, non voleva far capire agli altri il suo malessere, ma io non volevo nuovamente fare l'errore di non badare a questi piccoli segnali, che portano molto spesso la persona a pensare che nessuno davvero si importi di lei, voglio salvarla da tutti i mostri che la minacciano e voglio portarla in cima al mondo, dove merita di stare.

Ricordavo ancora la voce della madre di Cameron, che ci aveva invitati a giocare ancora per qualche minuto fuori in giardino.
Io però non la avevo badata, ero entrato in casa silenziosamente, sentendo mia madre piangere.

<<Smettila di frignare, ora prendi i bambini e portali qui>> le aveva tuonato la voce autoritaria di mio padre. <<Fai del male a me, ma non a loro. Non li toccherai mai senza il mio permesso>> gli aveva risposto con voce tremante, ma allo stesso tempo decisa nella propria promessa rivolta a noi.
Solo che lei non sapeva che in realtà nostro padre mi aveva già picchiato, molte volte. Alcune ero riuscito a scappare via, altre avevo pensato di meritarlo, ma non avevo mai reagito, ero un bambino e da tale non sapevo che quella che stavo subendo era violenza.

<<S-smettila di trattarla in questo modo>> aveva cercato di intervenire la seconda donna, battendo sulla porta chiusa, dove dall'altra parte soli c'erano i miei genitori.
<<Laurie, salva i bambini, non badare a me>> era riuscita ad urlare mia madre, prima che mio padre la zittisse.

Saudade Wherever I GoWhere stories live. Discover now