5- Che figura di merda

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Kirishima

Che figura di merda

Questa era la frase che mi rimbombava nella testa, nel retro della fumetteria, imbarazzato come non mai con Tamaki che mi fissava alquanto confuso. Ovviamente sono rimasto chiuso lì dentro a chiacchierare ed a evitare di pensare alla figuraccia appena fatta, anzi direi a evitare proprio di pensare a lui. In quei quattro anni avevo pensato a come sarebbe stato un nostro ipotetico e impossibile incontro, mai avrei pensato che mi sarei ritrovato a sbavargli dietro di nuovo pensando a quanto fosse figo. Era diventato più alto, cosa ovvia visto che eravamo cresciuti tutti, aveva più o meno lo stesso aspetto di quando andava al liceo, però il modo di vestire era diverso, prima non avrebbe mai indossato quei jean strappati, che gli facevano un culo stupendo, oppure il giacchetto di pelle sopra a quella maglia attillata che faceva vedere ogni singolo muscolo.

Anni per dimenticarlo, poi lo vedevo dieci secondi e ritornavo ad essere un fanboy che sclerava perché mi aveva solo guardato per un attimo.

Nel retro iniziava a mancarmi l'aria, Tamaki mi parlava ma io non ascoltavo nulla di quello che mi stava dicendo, perché ero tornato con la mente indietro negli anni, a giorni che volevo seppellire e dimenticare.

"Mi guardavo allo specchio e l'unica cosa che riuscivo a vedere era un ragazzino brutto e sbagliato. Un errore, questo era quello che sentivo di essere, uno stupida frase scritta con la penna indelebile che non puoi più eliminare a meno che non stappi il foglio, innamorato di qualcuno che non ricambierà mai ciò che provo.
Ho provato a dimenticarlo con tutte le mie forze ma vederlo ogni giorno non aiutava, forse ero un masochista che amava stare male per qualcuno che non potrà mai avere. Forse una parte di me nemmeno voleva, però amarlo così da lontano faceva male, tanto ed era estenuante non poter parlare con nessuno di questo e mi provocava ancora più dolore.
Nascondere una parte di me ai miei migliori amici era tremendamente difficile, ma se volevo sopravvivere abbastanza per arrivare al giorno della mia liberazione dovevo resistere ancora un pò."

Ripensare al vecchio me era sempre una ferita aperta, tutto quel dolore e quella sofferenza cambiavano immediatamente il mio umore rendendomi triste, questo era il motivo principale per il quale non volevo tornare. Essere qua significava convivere con i ricordi e con il vecchio me costantemente, mi sembrava quasi di vivere bloccato nel passato.
Ovunque mi girassi rivedevo me e tutta la sofferenza che mi portavo dietro, l'ombra che mi ha trasformato da un bambino solare e allegro ad un ragazzo triste e solitario.
Il giorno che mi sono trasferito ero così felice che mia madre mi disse che erano anni che non vedeva sorridere così tanto, Denki invece che se continuavo così avrebbero dovuto staccarmelo chirurgicamente dalla faccia quel sorriso.

Quel giorno, in fumetteria ho sottovalutato il mio migliore amico, aveva capito qualcosa e me lo ha dimostrato con l'occhiata che mi ha lanciato quando sono uscito e ora come glielo avrei spiegato.
Come gli avrei spiegato che non lo sapevo neanche io il perché ero scappato, anzi in parte lo sapevo, vederlo faceva ancora troppo male non perché lo amassi ancora.
Mi sono comportato proprio come anni prima, che appena lo vedevo cambiavo strada o entravo in qualche stanza per la troppa paura che intuisse qualcosa, dosavo perfettamente le mie parole quando dovevo parlare con lui o con qualcuno dei suoi amici, anche se l'unico con cui parlavo volentieri era Izuku, anzi era l'unico di quella cerchia che mi rivolgeva la parola senza costrizione, non che fossi odiato ma ero comunque lo sfigato della scuola, farsi vedere con me non era di certo una buona pubblicità.

Una volta tornato a casa, il più velocemente possibile; la prima cosa che ho fatto è stata chiamare Mina, la mia migliore amica, viveva a Boston, studiava moda all'università. Ci siamo conosciuti in un negozio di abbigliamento infatti, stavo scegliendo qualche vestito e ha iniziato a dispensarmi consigli di moda assolutamente non richiesti.
Alla fine ci siamo ritrovati a bere un caffè in un bar parlando di tutto proprio come se ci conoscessimo da sempre.

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