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Ultimamente sto diventando insofferente alle trasferte, prima erano tra le cose che preferivo ma ora non più. Da quando tra me e Gio c'è questa situazione congelata non mi sento a mio agio a stare in trasferta. È come se mi sentissi accerchiata e non libera di fare ciò che voglio perché c'è lui. E non perché io voglia fare chissà che, che sia chiaro, ma perché con lui in giro mi sembra di restare nel passato. A volte mi capita di essere in sala relax con gli altri ragazzi e lui se mi vede va sempre via con una scusa, oppure se sa che ci sono non ci raggiunge proprio. Lo sto privando dei suoi stessi compagni di squadra e questa cosa non mi piace. Ed è per questo che ultimamente me ne sto molto di più in camera che con loro perché non voglio che lui si isoli visto che questo è più il posto suo che il mio.
Da dopo quella serata allo Shinto le cose tra di noi sono peggiorate ancora di più, nel senso che prima quando eravamo con gli altri mi salutava e se ne stava con loro ma almeno non andava via. Ora no, ora non mi saluta nemmeno più. Ora letteralmente per lui non esisto, come il Molise.
Quella serata ho capito che non sono pronta a lasciarlo andare via ma che lasciarlo andare via, purtroppo, è l'unica cosa da fare. E ci sto male perché vederlo seduto accanto a quella che lo toccava e gli sussurrava cose all'orecchio mi ha davvero distrutta ma deve andare così e ne sono consapevole. Mentre ci penso salto spaventata da qualcuno che batte con le nocche della mano sulla porta della mia stanza d'hotel.
«Chi è?» domando mettendomi in piedi.
«Sono Giovanni, ti devo parlare» si annuncia e a me mi si contorce lo stomaco. Apro la porta e lo faccio entrare. È quasi mezzanotte e stanno già tutti dormendo ma se qualcuno lo vedesse qui scoppierebbe un casino.
«Forse era meglio aspettare di essere a Napoli, non credi?» gli domando ma lui fa di no con la testa e si avvicina di un passo a me. Ho la gola in fiamme e non ho una goccia di saliva in bocca. Incrocio le braccia sotto al seno per evitare che si accorga che sto tremando e aspetto che dica qualcosa.
«No, devo farlo adesso» risponde e io annuisco.
«Dimmi allora, cosa devi dirmi di così importante che non può aspettare?» lo incalzo confusa per questa sua improvvisata.
«Tu non vuoi stare con me. Tu hai detto a tuo padre che è giusto che non stiamo insieme. Tu credi che la nostra sia una relazione impossibile che era meglio non iniziare affatto. Allora perché mi guardi in continuazione? Perché mi cerchi? Perché chiedi di me agli altri? Cosa vuoi da me?»
Tante, troppe domande a cui non so rispondere nemmeno io. O forse sì ma sono troppo spaventata dalla verità per accettarla e condividerla.
«Sei stata una persona importante per me qui e mi dispiace di aver dovuto troncare tutto così, è per questo che...» non mi fa finire e parla lui.
«Dimmi che per te è giusto non stare più insieme. Dimmi che quello che mi ha detto tuo padre, cioè che stavi aspettando che lui ci scoprisse per avere una scusa per lasciarmi perché a farlo da sola non avevi il coraggio, è vero. Dimmi questo e basta» si ferma e la sua espressione si incupisce. Io resto senza parole, le cose che ha detto non sono assolutamente vere e non posso dirgliele occhi negli occhi.
«Gio, io...» mi fermo e balbetto ma non trovo le parole giuste da dire e mi blocco.
«Mi va bene anche una bugia, ma dimmi che non dobbiamo stare insieme e che tuo padre non mentiva. Me lo devi dire o io non troverò mai pace Aurora. Dimmelo, se devi mentire fallo» mi supplica con quei suoi occhi così onesti e puliti. Quelle labbra che vorrei tanto baciare e sentire sulla mia pelle ora mi stanno implorando di dire una cosa non vera, di mentire pur di farlo stare meglio con se stesso. Ma come faccio? Non mi piace mentire e non mi piace quello che sto facendo ma se posso aiutarlo in qualche modo allora lo faccio.
«È vero, volevo lasciarti ma non avevo il coraggio. Non doveva durare così tanto, doveva essere una storiella di qualche sera, al massimo. Io e te non abbiamo futuro né nient'altro che ci lega» dico cercando di fare la dura e lui ascolta ogni mia parola attentamente poi alla fine annuisce e fa un passo indietro.
«Ognuno per la sua strada» dice guardandomi negli occhi «niente più occhiate, sguardi. Nessuna domanda, non mi devi cercare, non mi devi toccare. Ognuno per la sua strada» ripete con voce più fredda e distaccata.
«Ognuno per la sua strada» dico io stavolta e lui si gira e se ne va chiudendosi la porta della mia stanza alle spalle. Non appena sono da sola mi rifugio nel letto di quest'hotel che per stanotte sarà casa mia e ripenso a tutte le cose, per di più bugie, che ci siamo detti stasera. 'Una storiella di qualche sera' è la stronzata più grande che ho detto. Non l'ho mai pensato, nemmeno per un secondo. Ho sempre visto Giovanni come un ragazzo serio su cui fare affidamento e mi è piaciuto dal primo momento. Non l'ho mai visto come un divertimento sessuale fine a se stesso. Mai. E mi vergogno di averglielo detto, di aver usato quelle parole ma non avevo alternativa. Dovevo chiudere una volta e per tutte con lui e se sentirsi dire queste cose lo può aiutare a stare meglio allora non avrò rimpianti.
Dobbiamo andare avanti entrambi e in un modo o nell'altro ce la caveremo.

Impossibile || Giovanni Di LorenzoWhere stories live. Discover now