[01] newcomer

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"La tristezza è causata dall'intelligenza. Più
comprendi certe cose e più vorresti non comprendere."

⸻  𝐵  ⸻

Il sole splendeva alto nel cielo, luminoso e garbato come sempre. Una leggera brezza mi sfiorava il viso, mentre scendevo dallo skate, prendendolo sottobraccio e camminando verso la porta d'ingresso della sala giochi.

Per essere una giornata soleggiata di metà settembre, indossare una felpa non era stata una così pessima idea.

Beh, Nathaniel mi aveva dato della stupida idiota, ma non che mi importasse particolarmente. Non era proprio una novità, da parte sua. Forse voleva darsi dell'idiota da solo ma non poteva, chissà.

Scrollai le spalle, e lasciai che la porta di vetro sbattesse alle mie spalle.

Il ragazzo che lavorava lì, di cui ogni singola volta non ricordavo il nome, sospirò, lanciando il suo fumetto sul bancone dietro al quale leggeva, fregandosene dei ragazzini, e alzò gli occhi al cielo. «Hai idea del fatto che accompagnare la porta quando si chiude non è un reato, Fisher?», mi chiese, come se avessi appena parlato di un omicidio che stavo programmando nel dettaglio durante una festa in mezzo alla polizia.

Lo ignorai del tutto, sorpassando con un occhiata lui e i suoi fumetti porno. Leggeva quei cosi ogni diavolo di giorno, insieme a dei ragazzini nella stanza che avevano si e no cinque anni mentalmente.

Vidi Mike Wheeler, Will Byers, Dustin Henderson e Lucas Sinclair davanti al loro gioco preferito. Parlottavano tra loro fitto fitto, ma, sicuramente, se mi fossi messa a tre metri da loro li avrei comunque sentiti.

Tirai fuori le cuffie dal mio zaino, posandomele attorno al collo, e, dopo aver arruffato un po' i capelli biondi tinti con un gesto annoiato della mano, ficcai entrambe le mani in tasca, proseguendo verso l'ultimo gioco della sala.

Era un vecchio gioco sui supereroi che ormai non usava praticamente nessuno, dato che qualche mese prima, durante l'estate, era arrivata l'ultima versione persino in questo buco sperduto che portava il nome di Hawkins, e, sfortunatamente, anche di casa.

Non vado proprio pazza per questa cittadina quasi inesistente nel bel mezzo dell'Indiana, se non è chiaro. Il motivo? Le persone. Ora, non fraintendete: le persone sono ovunque, e le peggiori sono quelle delle piccole città come queste. Ma il mio problema è proprio il genere umano. Vorrei che si estinguessero tutti, dal primo all'ultimo. Me compresa.

Nonostante ciò, erano tre le persone che più odiavo in questa vita – che speravo fosse anche l'unica che avrei dovuto vivere prima che il Sole si spegnesse e facesse un favore a tutti.

Vance Fisher. Mio fratello. Uno stronzo arrogante amante del caos.

Frank Fisher. Mio padre. Un narcisista alcolizzato che si crede il miglior padre di sempre.

Chrissy Cunningham. La reginetta della Hawkins High. In realtà, lei non mi aveva fatto nulla, eppure aveva una vita perfetta, e questo mi mandava in bestia ogni volta in cui i miei occhi si posavano su di lei. 

Inserii una moneta nell'apposita apertura e schiacciai il tasto giallo con la scritta ᴘʟᴀʏ.

Lo schermo si illuminò, e persi qualche minuto a scegliere quale personaggio volevo usare quel giorno. Li avevo sempre provati tutti, dato che erano solo tre, eppure non riuscivo mai a decidere subito. Avviai la musica nel mio walkman e, con una canzone dei Beatles in sottofondo, girai almeno cinque volte tra Superman, Batman e Hulk.

«Ti consiglio Batman, se vuoi usare la partita sette», disse qualcuno accanto a me.

Percepii a malapena le sue parole, per via della canzone che mi rimbombava nella testa con prepotenza, perciò fermai la musica e mi voltai a guardare il mio interlocutore. Era una ragazzina sul metro e sessanta, con rossi capelli leggermente mossi e lunghi, gli occhi azzurri un po' più scuri verso il bordo dell'iride e le lentiggini sul naso e sugli zigomi – un po' su tutto il viso, in realtà.

Indossava dei jeans blu semplici e una felpa rossa con i dettagli bianchi sopra ad una maglietta semplice e lattea.

Inarcai un sopracciglio, voltandomi sullo sgabello verso di lei, che mi fissava con i suoi grandi occhi chiari. «Volevi?», domandai. Quanti anni aveva? Nove? Dieci?

«Ti stavo dicendo che se vuoi usare la partita sette, come hai scelto, ti consiglio Batman», ripeté, indicando lo schermo del gioco con un cenno breve del capo.

«Grazie», mi limitai a dire, rigirandomi per ritornare a giocare. Lei afferrò saldamente lo sgabello vuoto lì accanto e lo spostò accanto al mio. «Che stai facendo?»

Lei ci si arrampicò quasi, tanto quanto erano alti, e si strinse nelle spalle esili. «Ti aiuto, mi sembra ovvio.»

«Ti sembra ovvio?» Socchiusi le labbra. «Senti, sei carina, ma so giocare. E non cerco un lavoro da babysitter.»

«Ho tredici anni, stronza», ribatté lei, afferrando un pacco di liquirizie dalla tasca della felpa. Mi strappò un sorrisetto. Una piccola stronza che cresce, pensai con una risatina. Mi ci rivedevo. A tredici anni, uscire di casa e rinchiudermi lì dentro per scappare dalle urla di Nathaniel e di Frank. Non sapevo perché fosse lì, ma di sicuro, dalla sua espressione, non perché preferisse giocare ad uno stupido gioco mangiasoldi che starsene nella sua stanza. «Ne vuoi una?»

Scossi il capo, scivolando giù dalla mia seduta. «No. Dai, fammi vedere che sai fare», la esortai.

Lei alzò le sopracciglia, ma poi, notando che non la stavo prendendo in giro, fece a cambio posto con me. Scelse Batman, come aveva consigliato a me, lasciando la partita sette che avevo impostato precedentemente, e nell'arco di otto minuti scarsi aveva sconfitto tutti e cinque i cattivi. 

«Però, non sei malissimo», commentai, strappando a lei un sorriso, questa volta. «Come ti chiami?»

«Max.»

«Mhmh.» Frugai in tasca alla ricerca di un'altra moneta, ma mi accorsi di non averne. Di solito facevo una partita e poi cambiavo i soldi al bancone, invece, quella volta, mi misi in piedi e riposi lo sgabello che Max aveva spostato prima. «Ti va una coca cola?»

«Perché dovrei seguirti? Non so neanche come ti chiami», mi fece notare.

Ridacchiai, affondando le mani nelle tasche della felpa. «Sono Aria. Allora, vieni o no? Non ti aspetto tutto il giorno.»

Lei sbuffò un sorriso, scendendo dallo sgabello a sua volta e recuperando il pacco di liquirizia che aveva abbandonato sulla base vuota del gioco mentre sconfiggeva i personaggi. «Solo se c'è ghiaccio e limone.»

«Ai tuoi ordini», con un cenno del capo, le feci cenno di seguirmi. «Senti, Max, quel ragazzo al bancone sta leggendo?»

Lei lanciò un'occhiata alle sue spalle, poi annuì. «Sì, perché?»

«Vieni.» Abbassai delicatamente la maniglia della porta gialla accanto a noi, quella del personale, e scivolai dentro, facendole segno di fare in fretta, quindi la richiusi alle sue spalle. «Ecco qua, prendi quello che vuoi.»

«Non è un po'... scorretto?»

«Ti importa?», ribattei, afferrando due bicchieri di vetro dal ripiano di plastica e posandoli sul tavolino coperto da una stupida tovaglia a fiori gialli di plastica. «La coca è in frigo, puoi prenderla?» Mi chinai per aprire l'armadietto dove stavano le cannucce, ne scelsi due a caso e ne misi una per bicchiere.

Lei mi raggiunse con la bottiglia in mano e mentre versava quella bibita gassata per entrambe, andai a recuperare il ghiaccio per lei.

«A te, Max.»

«Grazie, Aria.»

Fece tintinnare il bordo del bicchiere contro il mio con un sorriso, poi ne trangugiò un lungo sorso e lo feci anch'io.

Forse quella ragazzina non era proprio pessima.



***
Ed ecco qui il primo capitolo!
Pensavo di pubblicare domani, ma il capitolo era praticamente pronto, quindi eccolo qui!
Che ne pensate?
Vi piace Aria?
Che tipo di rapporto credete che avranno lei e Max, se ne avranno uno?
Fatemelo sapere, adoro tutti i vostri commenti! 🧡

Ci vediamo nel prossimo capitolo!

A presto,
Chiara – e Aria e Billy.

𝐃𝐀𝐃𝐃𝐘 𝐈𝐒𝐒𝐔𝐄𝐒 » 𝑩𝒊𝒍𝒍𝒚 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora