[ 14 ] i'm sorry

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Una volta mi hanno detto: ognuno di noi perdona in proporzione alla capacità di amare. E scusatemi, ma nessuno mi ha mai mostrato come si fa ad amare qualcuno.

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Tornare a scuola dopo più di una settimana era strano.

Se da una parte mi sentivo più a mio agio all'idea di scappare dalle opprimenti mura della mia cameretta in cui mi ero rintanata per il novantanove percento del tempo che ci avevo passato, sgattaiolando fuori solo nelle ore più improbabili, certa di non incontrare nessuno, per recuperare quel poco cibo che riuscivo a mettere nello stomaco e per andare in bagno, perché quella stanzetta che avevo sempre visto come il mio scudo personale contro il mondo adesso sembrava schiacciarmi la testa, ricordandomi continuamente del modo in cui, seppur lo stessi respingendo con tutte le mie forze, Billy si era preso di cura di me.

Ma il pensiero di incrociarlo per sbaglio in un corridoio mi aggrovigliava lo stomaco e dopo un istante in cui la sua espressione si materializzava nella mia testa, quella iniziava a farmi male.

Mi sentivo scomoda e inadatta nei miei vestiti, come se in realtà non ci fossero davvero e io stessi girando nuda per le strade e l'istituto.

Nathaniel camminava accanto a me come se niente fosse, le mani affondate nelle tasche dei jeans e l'espressione serena sul volto. Perché a loro non importava.

Non gliene facevo poi una grande colpa, probabilmente anche a me non sarebbe importato, se fossi stata al suo posto. Però la sensazione, in quel momento, era sgradevole e opprimente.

La ignorai: era l'unico modo per sopravviverle. Stringendomi nelle spalle, prestai tutta la mia attenzione alle mattonelle che calpestavo, preoccupandomi semplicemente di mettere un piede davanti all'altro e andare avanti senza preoccupazioni.

E, giuro, sembrò funzionare davvero. O, perlomeno, finché lui non andò involontariamente a sbattere contro Nathaniel. Non servì neanche sentire il suo cognome scivolare via dalle labbra rosee del mio amico per riconoscerlo. Contro la mia volontà, il mio corpo si accese. «Togliti di torno, Hargrove», gli disse.

«Togliti tu dalle palle, Blackwell», replicò lui e ogni mia cellula prese istintivamente fuoco. Il tono era ruvido e mi grattava la pelle, come se fosse davvero arrabbiato con qualcuno per qualcosa e non fosse il solito modo per liberarsi degli altri. Anche se mi aveva ferita, dopotutto restava sempre una persona che, più o meno, credevo di conoscere. «Non ho voglia di rovinarmi la giornata con la tua faccia di merda.»

«Fidati, Hargrove, è meglio se ti togli dal cazzo in questo momento. Ar...»

«Va tutto bene, Nathaniel. Andiamo, non ho più voglia di stare qui», lo interruppi, la voce sottile che fece arrossare le guance di Billy in modo quasi impercettibile. Era come se l'aria avesse cominciato a circolare nei suoi polmoni, e il sangue a pulsargli nelle vene, quando mi vide. Una piccola parte di me fu felice di fargli quell'effetto.

«Certo, Aria. Quello che vuoi tu.»

Nathaniel superò Billy senza dire mezza sillaba in più, ma, quando feci per raggiungerlo all'angolo del corridoio, quest'ultimo mi afferrò il polso. La mia pelle si infiammò al contatto delle sue dita che la sfioravano delicatamente, perché sapevo che non mi avrebbe obbligata a restare con lui se non l'avessi voluto. «Possiamo parlare, tesoro?», domandò piano, così che potessi sentirlo solo io. La sua voce sembrava sul precipizio, pronta a rompersi in mille schegge coperte del suo stesso sangue quando aggiunse: «Ti prego.»

𝐃𝐀𝐃𝐃𝐘 𝐈𝐒𝐒𝐔𝐄𝐒 » 𝑩𝒊𝒍𝒍𝒚 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora