[09] bad decisions

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"Vattene, voleva dire. Eppure continuava a guardarmi, implorandomi di restare."

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Dopo aver inventato una scusa banale, Max mi aveva chiesto se volessi cambiarmi prima di cena – anche se la risposta era più che ovvia. Mi aveva lasciata sola nella sua stanza e mi ero appena spogliata. Evitavo il più possibile lo specchio alla parete, mentre adagiavo sulla coperta tutto il contenuto del mio zaino.

Mi infilai la maglietta non appena l'ebbi stretta tra le mani, e arruffai i capelli bagnati, ma era solo una stupida perdita di tempo. Li avevo frizionati con un asciugamano, che ora giaceva ai miei piedi, ma ancora gocciolavano lungo il collo.

La porta alle mie spalle si aprì improvvisamente e pensai che fosse Max, perciò non ci feci troppo caso. «Ehi, ficcanaso, sai dove Max tiene le riviste?»

Quel soprannome. Quella voce. Quella persona. Billy.

«Come?», domandai, improvvisamente a disagio, girandomi verso di lui. Billy mi dava le spalle e, seppur fossi più che consapevole che non mi avrebbe voluta in quel senso se non per aggiungermi alla lista infinita, mi tirai la maglietta il più possibile lungo le gambe, per coprirle. 

«Ho detto», ripeté Billy, voltandosi, «sai dove Max tiene le riviste?»  

«Ehm, no», mormorai. «Come potrei fare a saperlo?»

«Certo che sei utile, tu.» Alzò gli occhi sulla mia figura, e qualcosa sembrò brillare dal nulla in quelle iridi chiare. Le sue labbra si schiusero e un guizzo della sua mascella attirò brevemente la mia attenzione. «Tu avevi... intenzione di venire di là... così?»  

«No», scossi il capo. «No.»  

«Sarà meglio.» 

Aggrottai le sopracciglia. Quando incrociai le braccia al petto, la maglietta salì leggermente lungo le cosce e mi affrettai a risistemarla, strappandogli un piccolo sorriso intenerito. Lo rimosse più velocemente di quanto era apparso, ma io lo vidi comunque. «Che intendi?» 

«C'è un... amico», inghiottì a vuoto. Lo vedevo, sembrava quasi che stesse compiendo uno sforzo disumano per continuare a tenere gli occhi fissi nei miei. «Resta a cena, poi torna a casa.»  

«E...?» 

«E non voglio che ti veda così, ficcanaso.» 

«Perché no?» 

«Perché...» In un secondo aveva mangiato tutta la distanza tra noi. Le sue mani si appoggiarono al mio viso e fece una breve pressione affinché mi sollevassi sulla punta dei piedi, portando il mio volto più vicino al suo. Il suo fiato caldo mi sbatteva sulle labbra e dovetti appoggiare i palmi sulle sue spalle per non cadere. «... cazzo, tesoro», avvicinò così tanto la bocca alla mia che mi sentii del tutto annientata. Se mi avesse baciata, probabilmente non l'avrei colpito.

«Che c'è?», bisbigliai. Avevo paura di aver sbagliato qualcosa. Qualunque cosa. E odiavo questa sensazione, perché lo detestavo come non avevo mai detestato nessuno in vita mia.

«Se Bryce dovesse vederti così, probabilmente mi parlerebbe di te», disse, accarezzandomi con una rude dolcezza del tutto anomala gli zigomi con i pollici ruvidi. «E io dovrei farlo stare zitto.» 

«Non capisco», ammisi. Ed era vero. Non ci capivo assolutamente niente in quel discorso. «Billy, non riesco a capire.»  

«Non c'è niente da capire.»

E si allontanò. Mi risvegliai con il suono della porta che sbatteva, e mi ci vollero un paio di minuti prima di metabolizzare il tutto.  

***

𝐃𝐀𝐃𝐃𝐘 𝐈𝐒𝐒𝐔𝐄𝐒 » 𝑩𝒊𝒍𝒍𝒚 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒐𝒗𝒆Where stories live. Discover now