[02] the new imbecile

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"L'adolescenza è come un cactus."

⸻ 𝐵 ⸻

Se c'era un luogo che odiavo più di Hawkins stessa, era la scuola di Hawkins: la Hawkins High.

Il motivo? Banale ma onesto: le persone, come sempre. Insomma, in un liceo c'è una massa di adolescenti sovraeccitati e tendenzialmente idioti, in preda ai loro stupidi ormoni del cazzo che si agita non appena vede una gonnellina o dei jeans un po' più stretti. Evolvetevi, vi prego.

Con lo skate sottobraccio, attraversai il parcheggio compiendo alte falcate e mi fermai sotto il portico. Io e Max ci eravamo date appuntamento lì sotto la sera prima, quando ci eravamo riviste alla sala giochi. Perlomeno, per evitare che lei fosse sola proprio il primo giorno. Avevo scoperto che non si era ancora presentata a scuola perché stavano finendo il trasloco.

Ma ormai era metà ottobre, e avevano concluso i lavori.

Una Camaro blu con la targa della California fece il suo ingresso nel parcheggio della scuola, e si fermò con uno stridio di pneumatici.

Lo sportello del conducente si aprì, e ne venne fuori un ragazzo alto e fisicamente ben messo, con i capelli chiari e mossi e una sigaretta stretta tra le labbra.

La prese tra le dita, scuotendo la cenere in eccesso per terra, sul cemento, poi girò su sé stesso.

Max scese dall'altra parte, stringendo tra le dita il suo skate. Lo lasciò cadere sull'asfalto e ci salì sopra per raggiungermi. Indossava la stessa felpa del giorno prima, con un'altra maglietta bianca, dei jeans piuttosto chiari e le Vans verdi.

«Chi è quello?», sentii domandare da una delle schizzinose della scuola.

«Non ne ho idea», rispose un'altra. «Hai visto che culo?»

«Guarda come si muove», fece la terza.

Alzai gli occhi al cielo, mentre la piccola stronza rossa saliva le scale per raggiungermi. «Ehi», mi salutò.

«Ciao Max.» 

Non le chiesi chi fosse quel ragazzo con lei, per un semplicissimo motivo: non me ne fregava un cazzo.

Le feci strada lungo i corridoi, verso la segreteria, poi la lasciai lì e mi diressi verso il mio armadietto. Avevo matematica alle prime due ore, e credevo che sarei morta sul banco dopo due minuti scarsi.

Inserii la combinazione e spalancai lo sportellino di metallo, cercando il libro di testo che mi serviva. Due braccia muscolose e familiari mi si strinsero intorno alla vita, facendomi compiere un giro su me stessa. «Aria!»

«Oh, mio Dio, Nathaniel», sbuffai, passandomi le dita tra i capelli per arruffarli un po'. «Smettila di farmi odiare il genere umano ogni giorno di più.»

Nathaniel Blackwell era il migliore amico di Vance, mio fratello, anche se era più piccolo di lui, essendo un mio coetaneo. Aveva i capelli neri e morbidi, il viso dai tratti duri ma angelici e gli occhi azzurri come le pareti della camera di Vance.

Sfortunatamente per me, condividevamo la maggior parte dei corsi.

In realtà, era probabile che li avesse scelti per darmi noia, ma, in ogni caso, a me stavano tutti sul cazzo a prescindere. Beh, tutti tranne Max: lei era simpatica, più o meno.

«Lo sai anche tu che mi ami», ribatté lui, posandomi amichevolmente un braccio dietro al collo, di cui mi liberai con una smorfia disgustata, scuotendo le spalle.

«Non farlo mai più. O te lo taglio.»

«Il braccio?»

«No, il cazzo, Nathaniel.»

Lui buttò la testa all'indietro, ridendo, e mi trascinò verso la nostra aula di matematica, stringendo le dita attorno al mio polso per evitare che andassi a nascondermi in bagno.

Ci sedemmo in fondo e Nathaniel si assicurò che nessuno si accorgesse che stavo facendo un pisolino ristoratore, una cosa che, a casa Fisher, era impossibile.

Quando mancavano cinque minuti, mi svegliò, lanciandomi delle penne in testa, e uscimmo dall'aula non appena la campanella scattò. 

Tina, che non conoscevo, ci consegnò due inviti per la sua festa di Halloween. Nathaniel lesse brevemente le poche parole sopra quel foglio arancione, poi puntò lo sguardo chiaro su di me. «Tu vieni», disse.

«In mezzo ad un gruppo di stupidi adolescenti in piena fase ormonale che si scambiano saliva? No grazie», alzai le mani.

«Fregatene degli altri, vieni per me.»

«Piuttosto brucio viva», curvai un angolo delle labbra verso l'alto, pronunciando quelle parole.

«Sei così dolce», ribatté lui, «uno zuccherino.»

Mi strappò una risatina, mentre giravo in un corridoio diverso.

«Non vieni a chimica?»

«No. Digli che sto male. O... quel che cazzo ti pare.»

***

Ero davanti alla sala giochi, in attesa di Max.

Beh, ero appena arrivata, perciò stavo fumando, più che altro.

La Camaro blu frenò di colpo, e, attraverso i finestrini, intravidi la piccola stronza e quel ragazzo discutere. Lei scese e continuarono a litigare, poi lui ripartì con lo sportello aperto e lei lo sbatté, facendogli il dito medio, quindi, sbuffando, mi raggiunse. 

«Problemi?», le chiesi.

«Solo Billy», si strinse nelle spalle, aprendo la porta e facendomi segno di passare.

Schiacciai il mozzicone sotto la suola della scarpa, poi strusciai la punta sul cemento ed entrai dentro. Max insistette per giocare a un gioco che io non usavo mai, perciò la lasciai lì con il suo pacchetto di liquirizie e mi andai a rintanare nel mio angolino.

Era bello starsene in silenzio.

In pace con sé stessi.

Billy.

Mi sorpresi a pensare al nome di quel ragazzo.

Era il tipo del parcheggio di questa mattina. Quello su cui l'intera scuola aveva sbavato tutto il giorno.

A me sembrava solo un gran pallone gonfiato. Insomma, che bisogno c'era di dare spettacolo per il semplice arrivo a scuola?

Scossi il capo, scacciando il suo viso da idiota dalla mia mente. Non ci serviva un altro imbecille in quella città del cazzo. Era già pieno.

Quel cazzone avrebbe portato altri problemi, e nella mia vita ce n'erano già tanti.



***
Ed eccoci qui in un nuovo capitolo di DADDY ISSUES!
Che ne pensate?
Fatemelo sapere nei commenti, sapete che adoro le vostre opinioni! 🧡

Ci vediamo nel prossimo capitolo!

A presto,
Chiara – e Aria e Billy.

𝐃𝐀𝐃𝐃𝐘 𝐈𝐒𝐒𝐔𝐄𝐒 » 𝑩𝒊𝒍𝒍𝒚 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒐𝒗𝒆Where stories live. Discover now