❺. La verità è paziente

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Anastasia aveva passato il resto della mattinata assieme a Marco a distribuire le medicine delle dieci. Poi, assieme a lui e agli OSS, verso mezzogiorno portò il carro dei pasti e li distribuì assieme a Valeria, raggiante che almeno un "medico" la aiutasse nelle sue mansioni. Verso le 13, finito il giro, si rinchiusero nella sala infermieri, dopo aver rubato dei pasti che alcuni pazienti non avevano finito. Sarebbe stato vietato prendere il cibo dei pazienti, ma Marco e Valeria avevano fame e, complici, avevano preso del prosciutto e del purè da condividere assieme ad Anastasia.

Il purè aveva un aspetto triste, mentre il prosciutto aveva assunto un colore così poco rosato da non sembrare un salume. Anastasia comprese perché erano stati lasciati nel piatto, ma, a discapito dell'aspetto, avevano un buon sapore, tanto che divorò il pasto in pochi minuti.

Concluso il pasto, Valeria ripulì tutto, portando il carro alla mensa dell'ultimo piano, e Marco si dileguò a prendere un paziente dai ricoveri per sistemarlo nella stanza 5.

Anastasia rimase là perché Marco non aveva bisogno del suo aiuto. Iniziò a girare per le stanze con il fonendoscopio e lo sfigmomanometro per controllare le pressioni dopo pranzo ed entrò nella stanza 8 perché una signora, sbracciandosi, l'aveva richiamata poiché Valeria aveva dimenticato un cucchiaio sul suo letto.

Anastasia, dopo averle controllato la pressione, prese il cucchiaio e si diresse verso la porta, quando stette per sbatterci contro, per rendersi poi conto che era chiusa. Non si ricordava di averla chiusa lei. Sentì un vociare intenso alle sue spalle e si girò di scatto: gli specializzandi stavano parlando davanti al letto della signora sull'8A.

Anastasia osservò la signora: era visibilmente a disagio con tutte quelle persone accanto che parlavano di lei, non stava capendo cosa stava per succederle. Aveva i capelli canuti per via dell'età avanzata, il corpo era così esile che sarebbe potuto essere stato scambiato con quello di una bambina, se solo non avesse avuto la pelle raggrinzita dalle rughe dell'anzianità.

"Un caso di Parkinson. Gli strutturati stanno ancora cercando di comprendere che terapia fornirle."

Uno degli specializzandi stava descrivendo il caso davanti a lei.

"Sembrerebbe che abbia cominciato a degenerare e che sia in stato confusionale. I radiologi stanno cercando di capire se l'attività cerebrale è alterata a causa di un tumore cerebrale che ostruisce il deflusso dei vasi del poligono di Willis. Ovviamente, stiamo ancora parlando di ipotesi da confermare. Per ora dovremo focalizzarci sul serio sulla terapia."

La signora si agitò, spalancando gli occhi e urlando con una voce strozzata. Nonostante l'agitazione, si muoveva comunque a rilento, come tutti i parkinsoniani.

"È lì, è lì, devo prendere, è il momento, è ora" Cercò di prendere una scatoletta dal suo comodino, ma, visto i suoi movimenti scoordinati, la fece cadere con un tonfo sordo a terra, sotto il letto.

Il dottor Zotti si avvicinò a lei con le mani nelle tasche del camice.

"Tanto questa è pazza, sta visibilmente degenerando. È anche inutile star qua a perder tempo, ci penseranno i radiologi."

La signora, con gli occhi ormai fuori dalle orbite, urlò sconnessamente:

"La cittadinanza, devo prendere la cittadinanza!"

Zotti strappò i documenti della signora dalle mani di un suo collega e lesse.

"Signora, lei è nata proprio in questo ospedale nel giugno del 1938. Non le serve nessuna cittadinanza."

Tutti tacquero per un attimo, finché il collega del dottore chiese cosa avrebbero dovuto fare con la signora.

"Niente." Rispose secco Zotti, lanciando i documenti in mano al ragazzo.

𝕀𝕃 ℝ𝔼ℙ𝔸ℝ𝕋𝕆Where stories live. Discover now