❶❻. Il referto di Zotti

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"Come vi ho illustrato nelle lezioni precedenti, il battito cardiaco va misurato quando il paziente si trova in posizione..."

La testa di Anastasia crollò, molle come una gelatina informe, tra le sue braccia incrociate, sistemate sul banco dell'aula universitaria.

Che palle, pensò, lanciando un'occhiata spenta all'anziano professore che gesticolava senza freno, rovesciando sugli studenti valanghe di parole incessanti.

Il tessuto del maglione grigio che indossava le infastidì la fronte e dovette alzare la maniche con un gesto scorbutico. Era davvero stufa di stare seduta. Per fortuna stava giungendo l'inverno e non era più costantemente ispirata dalle belle giornate ad evadere dalla monotonia delle lezioni. Nonostante ciò, non avrebbe voluto passare un solo minuto in più in quell'aula. Gettò uno sguardo sospettoso verso gli altri suoi compagni, vedendoli intenti ad agitare nervosamente le loro dita sulle tastiere del computer, per non perdersi nemmeno una virgola pronunciata dal professore.

Ma come fanno questi robot ad essere sempre così in piena, mai una volta che li avessi visti fare una pausa! Rifletté con un pizzico di invidia la ragazza, sconfortata dalla situazione. Prese a giocherellare con un filo del maglione, attorcigliandolo su sé stesso. Il fatto che trovasse quell'inutile attività più interessante della lezione la diceva lunga su quanto si sentisse estranea all'ambiente in cui si trovava. Ogni distrazione le scaricava in corpo la dopamina che cercava disperatamente.

Passò così una buona mezz'ora della sua esistenza a torturare pelucchi, per poi cambiare attività nell'ispezionare le doppie punte nei suoi capelli.

Era passati due giorni dal termine del suo tirocinio e non era ancora riuscita ad eliminare la sensazione di frenesia che ormai abitava il suo corpo. Si era troppo abituata ai ritmi disarmonici dei turni del reparto e senza svolgere nulla di pratico si sentiva svuotata. Tornare allo studio asettico era stato un duro colpo da incassare. Dal tutto al nulla. Era disorientata.

Un compagno, scorgendola assorta nei suoi pensieri, le diede uno scossone colpendola con il gomito.

"Pss, Anastasia, svegliati, il prof sta spiegando!"

Udendo il rumore di rimprovero, lei grugnì e girò la testa dal lato opposto. Il compagno sbuffò per il suo menefreghismo. Non riusciva a capacitarsi come quella ragazza così poco attenta fosse riuscita ad arrivare al terzo anno. Non aveva, però, la capacità di comprendere che non tutti erano diligenti come lui e non tutti aspiravano a diventare un cardiochirurgo come lui. A guardare gli avambracci a penzoloni di Anastasia, credette che solo la professione del medico di medicina generale avrebbe potuto fare al caso della ragazza. Dopo quel pensiero poco ragionevole, si decise a lasciar perdere la compagna e riprendere a digitare frettolosamente sui tasti del computer.

Passarono così due lente ore, portando al termine la noiosissima lezione. Anastasia si stiracchiò noncurante, allungando i muscoli del dorso, accompagnando il movimento con un sonoro sbadiglio. Raccattò i suoi oggetti sparsi per la bancata nel suo zaino e si alzò dalla sedia, vaporizzandosi in pochi istanti. Nessuno si era accorto della sua dipartita.

Camminando come una sonnambula per i corridoi dell'edificio, si portò alle scale, le scese e raggiunse l'atrio centrale. Diede un'occhiata rapida al telefono, sperando in qualche messaggio interessante. Solo sua madre le aveva mandato un articolo del giornale locale riguardo l'ospedale. Ruotò gli occhi al cielo.

Con aria assonnata, varcò la porta dell'uscita e fu colpita da un raggio di luce accecante. Si protesse gli occhi dal sole con l'avambraccio e aspettò che le retine si adattassero alla luminosità. Non si era accorta che il cielo era soleggiato, siccome era entrata a lezione al buio, dato che era quasi inverno e il sole sorgeva tardi.

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