❷❶. Aspettando nel mondo reale

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Piazza San Pietro. Sera.

Anastasia stava ritta in piedi, impettita all'interno dei suoi vestiti, cercando di stringerli il più possibile alla superficie del suo corpo. Una fredda folata si intromise tra le pieghe del suo giubbotto provocandole un breve spasmo. L'inverno stava un po' tardando quell'anno, ma i primi segni della sua venuta si stavano lentamente materializzando. Il cielo, infatti, si era già imbrunito, lasciando un manto buio ad avvolgere le strade della città. Solo le luci fioche dei lampioni illuminavano i cottoli della pavimentazione pedonale, come piccole lucciole che si appoggiavano stanche sui rami di una fitta vegetazione. Le persone cominciavano ad essere stufe di uscire la sera con il gelo che avanzava e preferivano lasciare le vie deserte, attraversate solo da pochi temerari che si stavano recando con furia alle loro dimore.

Anastasia sospirò e un sottile sbuffo di vapore acqueo si innalzò dalla sua bocca, descrivendo dei cerchi nell'aria. Odiava il freddo, odiava l'inverno. Le sembrava così surreale vedere la piazza, normalmente affollata durante gli altri periodi dell'anno, completamente svuotata. La strada davanti a sé, che attraversava in trasversale dividendo il spiazzo in due parti simmetriche, era colma di veicoli posteggiati in fila, appartenenti ai proprietari che abitavano nelle schiere di edifici che si affacciavano sul piazzale. Sul lato destro di esso si ergeva una statua bronzea di Gabriele D'Annunzio, seduto a gambe incrociate, mentre leggeva un libro. La ragazza si stava appoggiando alla recinzione in metallo che delimitava la scultura. Sembrava che non volesse essere d'intralcio anche se non vi era anima viva di passaggio. Da fuori pareva una normalissima persona che stava attendendo qualcuno. Solamente controllando più a fondo ci si poteva accorgere del suo animo in subbuglio. Le mani le tremavano, ma non per il freddo. Una sensazione di straniamento la stava sconquassando. Non capiva cosa ci faceva lì.

Agguantò il telefono dalla tasca destra del suo giubbotto e diede una fugace occhiata all'orologio. Le 18:56. Sarebbe arrivato in pochi minuti. Si guardò attorno smarrita. Ancora nessuno. Era ancora perfettamente in tempo per evaporare il più lontano possibile da quella piazza senza farsi notare. Avrebbe potuto raccontargli qualche bugia il giorno seguente. Cercò di immaginarsene qualcuna per non farsi trovare impreparata.

"Dovevo studiare per l'esame che ho tra un mese". Anche se era molto tipico degli studenti di medicina, svanire dall'esistenza per diversi mesi prima di un esame non sembrava una scusa plausibile. Si sforzò di più, corrucciando le sopracciglia in tante piccole rughe di riflessione.

"Mentre uscivo ho ribaltato le sbobine di anatomia e ora tutte le pagine sono sparse a terra. Non potevo lasciarle là, ma mi sa che ci metterò troppo tempo a raccoglierle per essere in orario per la cena, ci vediamo tipo... mai più!"

Si batté una mano sulla fronte, infastidita dalla sua ingenuità. Neanche quella sembrava una scusa realistica, Zotti non ci sarebbe mai cascato. Era troppo in ansia per riuscire ad elaborare un pensiero che fosse logicamente lineare.

Controllò di nuovo nervosamente l'ora. Le 19 in punto. Girò la testa a destra e a sinistra, scrutando la via centrale che attraversava la piazza. Ancora nessuno.

Perfetto, verrà pure in ritardo, pensò.

Quel pensiero, però, le fece accendere una lampadina in testa. Ma certo! Se ne sarebbe andata tutta indignata perché non si era presentato in orario, lasciandola ad aspettarlo al gelo. Non era sicuramente un gesto che si addiceva a un uomo di classe e lei non sarebbe mai e poi mai uscita con un maleducato. In più, avrebbe potuto dirgli che non avrebbe più frequentato una persona ritardataria e che la loro conoscenza sarebbe potuta finire all'istante.

Sospirò.

A chi la do a bere? Io sono la prima ad essere sempre in ritardo.

Pensò che sarebbe stato da ipocriti usare quella scusa solo perché provava estrema paura per l'appuntamento. Non sapeva cosa aspettarsi da Zotti e non si sentiva pronta per la serata. In più, guardandosi la punta delle scarpe, si sentì particolarmente brutta e vestita male. Non avrebbe fatto nemmeno una buona impressione conciata così.

𝕀𝕃 ℝ𝔼ℙ𝔸ℝ𝕋𝕆Where stories live. Discover now