12.1 Salvataggio

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La notte arrivò che loro erano pronti. La cuoca di Umberto cucinò loro una cena a base di fior di farina cotto nel grasso bollente, con cappone e cannella. Gennaro aveva osservato affascinato la donna tra i fornelli, mentre Lorenzo, Cassandra ed Edoardo avevano bevuto del vino seduti al tavolo per farsi forza.

Quanto a Chiara, lei aveva cercato di rilassarsi. Aveva estraniato i pensieri infausti che le si erano affollati nella testa, e aveva passato la serata con la testa appoggiata sul tavolo e le dita di Cassandra che le massaggiavano i capelli mentre strega e stregoni si scambiavano chiacchiere mettendo da parte divergenze e ostilità.

Si ritrovarono così fuori casa, Chiara che non riusciva a pensare ad altro se non ai suoi occhiali, e notava che tutti la stavano fissando. In verità, si accorse presto che tutti fissavano l’intero gruppo, che svettava sugli abitanti di Castelcaro di parecchi centimetri. Persino Cassandra, la più bassa tra loro, risultava poco più alta della media a giudicare dai passanti. 

«Ignorateli. Siamo solo un po’ strani per loro, non ci disturberanno» sibilò Umberto, facendo strada. 

Le vie di Castelcaro erano tanto, troppo diverse da come le ricordava. Nell’aria c’era un pungente odore di sterco di cavallo e di terra polverosa, la strada lastricata in pietra era stretta, tanto che un’automobile non ci sarebbe passata, le casette basse e tutte ammassate avevano tutte le porte e le finestre spalancate sulla via.

Le persone impegnate in un intenso via vai, oltre a essere abbigliate come personaggi di una rievocazione cinquecentesca, avevano i capelli unti e l’aspetto  trasandato, tanto piccoli da sembrare finti. 

Soprattutto, però, li osservavano con malcelato dubbio e diffidenza. 

Chiara si sistemò gli occhiali a disagio, spingendoli su per il naso. Si sforzò di sembrare naturale, anche se tutto in lei le urlava di rannicchiarsi dietro Umberto, togliersi quella roba dalla faccia e camminare a tentoni.

«Non parlate con nessuno e camminate tranquilli» ripeté la Sibilla, in testa al gruppo. 

Sentì Cassandra sfiorarle la mano con la sua. Doveva avere paura, essere preoccupata, e Chiara ricordò che, se si trovava laggiù, era solo per lei. Se fosse stato per la ragazza, avrebbe messo in atto il piano di Veronica e rubato il Libro agli stregoni friulani, ricattando così il loro Gran Consiglio come aveva fatto per quello di Castelcaro.

Lasciò che quel tocco indugiasse, la presenza di Cassandra le dava conforto, anche se all’inizio l’aveva considerata una nemica. Sapeva che ci si poteva fidare, non aveva rivelato a Veronica del loro piano perché Chiara le aveva chiesto di non farlo, anche se la strega più anziana era forse la persona di cui si fidava di più.

«Seguitemi» sibilò Umberto, infilandosi in una viuzza laterale e distogliendola dai suoi pensieri.

La notte, in un’epoca  come quella, era ancora più buia di quanto Chiara si sarebbe aspettata. La mancata illuminazione urbana, se non per qualche flebile luce di lampada a olio proveniente dall’interno delle case, faceva sì che la luna fosse l’unica fonte di luce sulla via. Poteva scorgere la Via Lattea con facilità da laggiù, pur essendo in pieno centro città. 

Entrarono in piazza Bologna, al centro dello spazio aperto svettava la statua del santo, priva dei faretti che in tempi futuri le avrebbero dato l’attenzione  che meritava. Quello che un giorno sarebbe stato il palazzo comunale, che doveva essere già la sede del Gran Consiglio cittadino, era già al suo posto: un palazzo medievale, composto dai mattoni rossi caratteristici del bolognese.

«È lontano?» chiese Edoardo, che non aveva ancora smesso di guardarsi intorno circospetto. 

«No, ci siamo quasi. La villa dei Carbone è poco fuori le mura.»

L'Ultima StregaWhere stories live. Discover now