Capitolo 7 - Mostro senza cuore

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Il sole aveva superato il picco della sua parabola quando Maeriyel raggiunse i confini del paese, eppure non aveva ancora smaltito il suo malumore. Continuava a cedere alla tentazione di guardarsi alle spalle, pur ripetendosi che Boyaque non sarebbe riuscito a raggiungerla così in fretta. Ma se anche fosse stato, perché temeva quell'eventualità così tanto?

Non era più certa che il ragazzo c'entrasse qualcosa con l'angoscia che le serrava la gola, facendo battere il cuore a ritmo sostenuto. Braccia e gambe avevano perso energia e la nausea le sconquassava lo stomaco, che sembrava fosse stato scavato per far spazio alla tana di un coniglio. Un brivido freddo le percorreva la schiena ogni volta che guardava di fronte a sé, e l'orribile sensazione di essere osservata si avvinghiava al suo petto con tale insistenza da farle male.

Hanno paura di te, continuava a dire la voce di Boyaque nella sua testa, ridendo e ridendo di lei. Perché non riusciva a farla smettere?

"Perché sei pazza" le suggerì il ragazzo attraverso i suoi pensieri. "Lo sanno tutti, per questo ti evitano. Una folle che crede di parlare con le piante e sente voci che nessun altro sente, ecco cosa sei."

Maeriyel strinse gli occhi, afferrandosi la testa tra le mani. Dovette fermarsi e respirare, perché sembrava fosse incapace di fare persino quello.

«Maeriyel? Ti senti bene?»

Pensò di essersi immaginata anche quella voce finché non alzò gli occhi, incrociando lo sguardo di Talullah. La donna passeggiava sottobraccio con Sylvie, reggendo un cesto da pranzo nella mano libera; lei e la compagna la guardavano con apprensione, le rughe marcate del visto distese in espressioni perplesse - o giudicanti? Quegli occhi la scrutavano da cima a fondo, la studiavano, cercavano di strappare il velo che proteggeva i suoi pensieri.

«È tutto a posto» assicurò Maeriyel, drizzando le spalle. Volse lo sguardo ai tetti di tegole scure che caratterizzavano le abitazioni di Vou-la-Forêt: non voleva permettere a quegli occhi di scavare nella sua mente.

«Sei così pallida, cara» insistette Talullah. «Forse è meglio accompagnarti da Jérôme. Lui ti saprà dire che problema hai.»

"Mi saprà dire che sto impazzendo? Vuoi che ci vada per averne conferma?"

Maeriyel scosse il capo. «Va tutto bene, vado a casa.»

Si strinse nelle spalle e superò le due donne, ignorando i loro lamenti. Camminò a passo spedito lungo le vie del villaggio, dove le casupole di mattoni rossi e muratura bianca si affacciavano sulla strada spianata, lastricata di pietre piatte. Maeriyel le fissò lungo il tragitto, tenendo lo sguardo chino per sfuggire agli sguardi che la seguivano dalle finestre. Non ne aveva certezza, ma se li sentiva addosso: decine e decine di occhi che la fissavano e bocche che bisbigliavano, rintanandosi dietro le pareti tutte uguali per non farsi vedere. Sentiva le loro voci e le risate riecheggiare tra le forme sfocate di case e botteghe, mentre i colori sbiadivano e si scioglievano a ogni passo, inglobati dal fumo oscuro che chiudeva sempre più il suo campo visivo.

Falsi, a Vou-la-Forêt erano tutti falsi. Forse erano persino peggiori di Boyaque, che quantomeno non nascondeva di essere una persona orribile. Tutti gli altri celavano i loro difetti nelle ombre, evitandola e giudicandola, privi del coraggio di ammetterlo apertamente.

Siamo rimasti tu e io, Mae-mae.

Maeriyel accelerò il passo, correndo negli ultimi metri prima di raggiungere casa sua. Sgusciò all'interno e si chiuse la porta alle spalle con foga, il tonfo del legno sbattuto che riecheggiava tra le orecchie. Le mani tremavano, ancora ferme sulla superficie, e il respiro così irregolare e faticoso da costringerla ad aprire la bocca.

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