Capitolo 12 - Paradiso

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«Sbrigati, Mae-mae!»

La voce allegra e leggera di Hervé riecheggiò tra i tronchi del bosco. Era nitida e familiare anche se Maeriyel non la sentiva da anni - non davvero, fuori dalla sua testa. Neanche la sua immagine era sbiadita: la figura del ragazzino che si muoveva tra la vegetazione era tale e quale a come la ricordava, con il viso rotondo e i vaporosi ciuffi castani.

Maeriyel gli corse dietro, le trecce che oscillavano alle sue spalle. Aveva dimenticato quanto fossero pesanti i suoi capelli quand'erano ancora lunghi, o forse non era più abituata ad avere il corpo minuto di una bambina: il mondo sembrava strano, visto da una prospettiva così bassa, eppure Maeriyel riusciva a malapena a formulare quel concetto. Sembrava qualcosa di fumoso, inafferrabile, una consapevolezza su cui era impossibile soffermarsi troppo.

Saltò la grossa radice di un castagno e aggirò con uno scatto una giovane pianta di alloro, seguendo il rosso della maglia di Hervé che spiccava nel fogliame. Allungò una mano verso di lui, ma quando credette di averlo raggiunto quello sfuggì alla sua presa e scappò via, invitandola a seguirlo con un ampio gesto del braccio.

Maeriyel arricciò le labbra e deglutì a vuoto, avvolta da un'improvvisa sensazione di disagio. Hervé rideva, ma lei sentiva lo stomaco accartocciarsi e quando schiuse le labbra si accorse di non riuscire a respirare fino in fondo.

Riprese a correre, l'affanno che cresceva mentre i suoi passi diventavano sempre più veloci. Non riusciva a star dietro all'amico ed era sempre più complicato scorgere la chiazza rossa nella vegetazione che si infittiva.

«Hervé, aspetta!» chiamò, ma venne fuori un sussurro strozzato. Non riusciva ad alzare la voce, la gola era ostaggio dell'angoscia che stringeva le corde vocali tra le sue mani ossute.

E non riusciva più a vedere Hervé. Attorno a lei c'erano solo arbusti di more straripanti di foglie e frutti, mentre i petali gialli degli orociondoli pendevano sopra la sua testa, oscillando al vento.

«Hervé!»

Il cuore si agitò nel petto con una tale violenza che a Maeriyel sembrò volesse rompere le costole. Sentiva ancora la voce dell'amico, ma le sue risate e i suoi richiami si facevano sempre più distanti. Le fronde degli orociondoli erano così fitte che la luce non riusciva più a filtrare e i rovi bloccavano ogni passaggio. Fu costretta a fermarsi, ma loro non lo fecero: i rami scricchiolavano e spingevano foglie fruscianti e spine acuminate verso di lei, togliendole spazio, togliendole respiro, avvolgendola tra spire ritorte e grondanti di sangue.

Qualcuno l'afferrò per le caviglie e la tirò giù, strappandole un urlo. Maeriyel scivolò lungo quella che sembrava la tana di un coniglio, ma quando ruzzolò al suolo c'era erba fresca ad accogliere la sua caduta, e il sole era il padrone di un cielo sereno.

L'astro era così luminoso da costringerla a stringere gli occhi, anche quando sollevò una mano a schermare il viso. Si accorse solo allora di essere di nuovo adulta: le dita erano lunghe e sottili, le punte dei capelli le sfioravano il collo e la lunga treccia era leggera alle sue spalle. Quando chiamò il nome dell'amico ancora una volta, la voce non era più quella sottile e acuta di una bambina.

«Finalmente sei arrivata, Mae-mae.»

Non lo era più neanche quella di Hervé. Maeriyel non aveva mai sentito quella voce calda e limpida, eppure sapeva che apparteneva a lui; sorrise quando incrociò quegli occhi azzurri che avrebbe riconosciuto ovunque, anche se l'aspetto del ragazzo non era come lo ricordava. L'Hervé che le stava di fronte aveva l'altezza di un giovane uomo e il busto sottile coperto da una blusa di lino bianco. Il viso tondo era privo di barba e i capelli castani erano più corti, pettinati con una riga al centro. Teneva le labbra piegate all'insù in un sorriso tanto dolce da sciogliere qualunque angoscia ghermisse l'animo di Maeriyel.

CarnivorousWhere stories live. Discover now