Capitolo 11 - Lacrime, dolore e sangue

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Il mondo era sottosopra. Maeriyel sapeva che il suo corpo si stava muovendo nello stesso modo in cui un'informazione appariva chiara in sogno eppure inconcepibile durante la veglia. Sapeva di star respirando, perché non aveva ancora perso conoscenza, però non sentiva nulla; la sua gola era ostruita e sembrava che non vi fosse aria da inalare o che i muscoli del suo petto fossero stati bloccati da un qualche Naru.

Sapeva di essere tornata nella sua stanza, perché il profumo intenso del gelsomino le stuzzicava le narici, ma non riusciva a percepire molto altro. Non vedeva i rampicanti che rivestivano le pareti né l'erba sfiorarle le caviglie mentre vagava avanti e indietro - o forse non si muoveva affatto, forse era solo un'idea nella sua testa.

Ne aveva fin troppe, così tante che non riusciva ad afferrarne una che subito le sfuggiva. Voci confuse si affollavano come rovi spinati nella sua testa, germogliando dai suoi ricordi o dalla sua coscienza, mentre immagini sfocate scorrevano davanti ai suoi occhi in lampi improvvisi, scene che mutavano in continuazione.

Aveva sei anni e sua madre l'aveva schiaffeggiata per la prima volta - o forse era solo la prima di cui conservasse memoria. Maeriyel si era rifiutata di mangiare lo stufato di pollo e Lisaëlle le aveva urlato contro cose che una bambina non era in grado di comprendere, che ora esistevano nei suoi ricordi come suoni confusi tra le urla rauche. L'aveva costretta a finire il suo pasto, ignorando le sue lacrime e le sue suppliche, e l'aveva schiaffeggiata di nuovo quando aveva rimesso ogni cosa. L'aveva lasciata a digiuno fino a sera, quand'era tornato Eumeric: suo padre le aveva chiesto quale fosse il problema, poi l'aveva consolata con pane e formaggio. Adesso che non c'era più, quel ricordo bruciava più degli schiaffi.

Era estate e il sudore le appiccicava i capelli sulla fronte e contro la nuca. La zolletta di zucchero che Boyaque aveva lasciato per terra aveva attirato un tale numero di formiche da spaventare Eliette, che non la smetteva di lamentarsi. Maeriyel ne era affascinata e seguì volentieri la scia nera fino al formicaio insieme a Boyaque, ma lui aveva altri piani: coprì di terra ogni ingresso al nido tranne uno, poi appiccò il fuoco. Maeriyel gli urlò contro, colpendogli la schiena e le braccia, ma lui la ignorò: rideva mentre osservava i piccoli insetti rinsecchirsi e morire, con una tale soddisfazione da far attorcigliare le viscere. Maeriyel non l'aveva mai notato prima, ma lo sguardo con cui ammirava le fiamme era lo stesso che adesso rivolgeva a lei. Come aveva fatto a dimenticarlo?

La Repubblica era appena nata e Maeriyel intrecciava un cesto all'ombra di un frassino. Il vento d'inverno le sfiorava le gambe coperte da calze troppo leggere, ma non sentiva freddo; il cerchio di vimini che aveva tra le mani splendeva come il sole e le sembrava persino di sentirne il calore. Era sufficiente quell'idea a scaldarla, la più brillante che avesse mai avuto, un modo per salvare ogni vita nel paese. Era certa che sarebbe andato tutto bene, ma avrebbe dovuto capire già allora che non avrebbe funzionato; da quando era morto Hervé, ogni cosa non aveva fatto che peggiorare. E lei aveva rimosso dalle sue speranze un sottile strato alla volta, sempre convinta che sarebbe stato l'ultimo, finché non era rimasto più niente.

Maeriyel si tuffò sul letto, affondando la testa nel cuscino per soffocare un urlo. Gridò con tutte le sue forze, stringendo il tessuto tra le mani e agitando le gambe, fin quando non scacciò ogni voce che sussurrava al suo orecchio e ogni immagine che si sovrapponeva alla realtà.

Solo allora si quietò. Aprì gli occhi e si girò su un fianco, singhiozzando nel riprendere fiato. Le dita tremavano quando sollevò una mano davanti al viso, ma non riuscì a farle smettere neanche quando le raccolse al petto, sfiorando con i polpastrelli il merletto che decorava la parte alta del vestito.

Anche se non le sentiva più, le urla di Eliette non le lasciavano tregua. Rimbombavano tra le sue ossa, spezzandole il respiro. Maeriyel non desiderava farle del male: non l'avrebbe mai aggredita, se non avesse minacciato i capperi. Voleva solo fermarla, evitare che facesse loro del male, voleva...

CarnivorousWhere stories live. Discover now