Capitolo 26

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Ero davanti al vecchio palazzo che per un po' era stata la mia casa. Qui mi ero allenata, avevo conosciuto Jennifer e scoperto la mia storia. Ma soprattutto qui avevo imparato a fidarmi di Todd e piano piano mi ero convinta di poter stare bene con lui. Ora tutto quello che pensavo era pura rabbia. Rabbia nei confronti di una madre che aveva rapito i miei genitori e che mi aveva ripetutamente mentito e rabbia verso tutti coloro che ne erano al corrente.

Sam, dopo essersi svegliato, era saltato giù dal letto come un fulmine e io con lui. Ci eravamo preparati, armati e avevamo lasciato un biglietto per i nostri amici. Non era il caso di svegliarli, non volevo coinvolgerli. In più non ero brava con gli addii quindi meglio cosi. Con Sam non avevo potuto fare altrimenti invece, non mi avrebbe più rivolto la parola se non lo avessi portato con me. Il tragitto in macchina fu molto silenzioso, con qualche occhiata di straforo tra me e lui. Ci rivolgemmo la parola solo per decidere il piano. Nessun colpo di testa ma dritti alla meta e se le cose si fossero messe male i miei genitori avevano la precedenza, loro dovevano uscire vivi da la dentro. Con un po' di fortuna ce l'avremmo fatta tutti ma io e Sam non definimmo tutti i dettagli. Entrambi eravamo preoccupati. Parcheggiammo poco lontano dall'edificio nascondendo la macchina lungo la linea degli alberi proprio dietro al vecchio palazzo. Ci eravamo nascosti le armi addosso e avevamo indossato l'auricolare. Ora eravamo invisibili e pronti all'attacco. Sam mi aveva raccontato che dopo la nostra fuga il governo si era insediato nel palazzo per un po' per cercare informazioni sui ribelli ma dopo poco lo avevano abbandonato. Quindi non doveva esserci nessuno. Ma entrambi sapevamo che non sarebbe stato cosi. Entrammo nel palazzo e ci trovammo subito l'ampio salone davanti a noi. Spoglio, com'era la prima volta che ero entrata qui. Sopra di noi i diversi corridoi si estendevano per più piani, pieni di porte. Tra quelle c'era anche la vecchia porta dell'ufficio di Jennifer. Ma la porta che interessava a noi era quella alla nostra destra. Era chiusa a chiave! Ma in men che non si dica Sam si mise davanti a me e con diverse spallate riuscì a buttarla giù. Alcune volte dimenticavo quanto fosse forte. Forse avevamo attirato l'attenzione con quel rumore, quindi era il caso di muoversi. Eccoci qua, davanti a noi quel lunghissimo corridoio con in fondo la porta numero sedici. Quel corridoio che aveva occupato tutte le mie visioni, ora era li. Spoglio e silenzioso ma con un che di sinistro che mi fece venire i brividi. Iniziai a correre e mi guardai intorno per vedere se c'era qualcuno, ma ancora una volta, tutto tranquillo. Corremmo fianco a fianco fino ad arrivare davanti alla porta. Nessuna chiave però. E ora? La mia visione era stata chiara, c'era sempre una chiave vicino alla porta ma questa volta no. Non sapevo come fare per buttare giù la porta, era blindata. Decisi che c'era un'unica soluzione e non avevo più intenzione di aspettare. Presi il fucile e sparai tre colpi vicino alla serratura. Questa dopo poco cedette e potemmo finalmente entrare.

Eccoli li, i miei genitori. Stavano dormendo abbracciati su un'unica brandina. La stanza era ancora più angusta di quella dove stavo io quando ero prigioniera. Mia madre sembrava serena, aveva i capelli sciolti e stringeva la mano a mio padre. Entrambi addormentati, entrambi con lividi e pestoni in faccia. Mio padre era quello messo peggio ma almeno erano ancora vivi. Mi tolsi l'auricolare e gli andai incontro. Cercai di svegliarli e lo fecero i miei singhiozzi. Neanche mi ero accorta di piangere come una fontana. Mio padre si svegliò per primo e i suoi occhi misero a fuoco piano piano. Mi guardava stupito e sconvolto e con un rapido gesto scosse mia madre dai suoi sogni. Anche lei ora mi guardava con il suo solito sguardo dolce. Non riuscii a trattenere le lacrime. Gli andai incontro e li strinsi cosi forte che quasi non respirai più ma non mi importava. <<Sara!>> mi dissero all'unisono. Capivo il loro stupore, non mi vedevano da mesi. Forse pensavano che io fossi morta, forse gli avevano detto cosi. Non importava. Ora eravamo insieme, finalmente ce l'avevo fatta!

Per un po' cercai di godermi quel momento con loro, ma sapevo che era una cosa effimera e temporanea. Dovevamo scappare. Non c'era più tempo. Non avrei mai pensato di vederli ancora vivi e invece erano li in carne, ossa e lividi davanti a me. C'erano cosi tante cose di cui dovevamo parlare ma ora non era il momento adatto. Sam mi fece un cenno con la testa e capii subito che era meglio muoversi. Questi abbracci si potevano rimandare. <<Come sei bella tesoro, sembri cosi forte!>> le parole di mia madre sciolsero quel gelo che mi si era creato attorno al cuore in questi mesi. <<Ci sei mancata cosi tanto piccola, non sai quanto!>> e le parole di mio padre non fecero che inondare completamente il mio cuore strappato. <<Anche voi mi siete mancati tantissimo. Scusatemi se non sono riuscita a venire prima ma ci ho messo un po' a....capire>> loro si scambiarono uno sguardo d'intesa e immaginai che afferrarono al volo. <<Non devi preoccuparti tesoro, siamo cosi contenti di vederti. Non preoccuparti per noi, pensiamo solo a fuggire da qua>> mia madre era la persona più magnanima e risoluta che io conoscessi. Non ti dava mai la colpa di niente anzi. Ma in questo caso la colpa ce l'avevo io. Ci avevo messo troppo a trovarli ed erano stati ricoperti di lividi, chissà cos'altro gli avevano fatto! Sam a quel punto si intromise nel gruppo <<Signori, è un piacere rivedervi, sono felice che stiate bene>> loro gli sorrisero e lo abbracciarono. Sam era quasi come un figlio per loro e gli volevano davvero bene come lui ne volevano a loro. Il loro abbraccio terminò con un bacio di mia madre sulla guancia di Sam e con lui che arrossii.

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