𝟐.  𝒔 𝒐 𝒍 𝒊 𝒑 𝒔 𝒊 𝒔 𝒕 𝒂

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"Ehi bambolina, non è ancora il momento della pausa."

La lavastoviglie all'opera attirava Jiminie a sé grazie all'affabile tepore che emanava. Jimin divenne succube di quei baci di vapore che lo inondavano con l'apertura dello sportello, come di quelle sottili emanazioni che sfuggivano dai spifferi durante il lavaggio. Abbracciava quella vecchia scatola di latta per neutralizzare quanto più di quei dannati brividi di freddo che lo scuotevano fino a fargli battere i denti. Le braccia incorniciate al suo viso, adagiate sulla superficie della lavastoviglie, ovattavano i suoni provenienti dalla cucina, nel caos del mezzo del servizio, e ci riuscivano così bene che Jimin aveva, per un breve momento, dimenticato dove si trovasse. Aveva solo sbattuto le palpebre più lentamente, in attesa della fine del risciacquo, distraendosi con pensieri poi vuoti e così, quando una voce lo aveva richiamato, si rese conto di aver tenuto gli occhi chiusi per qualche minuto di troppo. Non che si fosse addormentato in piedi, facendo della lavastoviglie il suo letto, ma qualcosa di molto simile.

Un collega, con in mano dei piatti sporchi, era stato poco carino nel risvegliarlo dal suo debole stato di relax. Jimin aveva sollevato la nuca di peso, gli occhi gonfi che chiedevano pietà e che nessuno si fermava ad ascoltare. Il tempo sembrava scorrere a rilento. L'orologio appeso al muro aveva solo la faccia tosta di ticchettare quando mai le lancette importanti, come quelle dei minuti e delle ore, osavano avanzare.

"Da quando... in questo lavoro esiste la possibilità di prendere una pausa?", riuscì a domandare. Persino parlare era un'impresa ardua, come stare semplicemente in piedi.

"Da quando tu hai iniziato a prenderle. A lavoro, forza."

Jimin neppure si sforzò di guardare dove il suo collega lasciò i piatti sporchi prima di tornare in sala, sicuramente per prenderne altri. Il suoi occhi finirono direttamente su quelli già accatastati dentro il lavandino, assieme a pentolame incrostato di cibo. Solo guardare quella catasta gli faceva salire il conato in gola. La fine di quella giornata era ancora parecchio lontana e Jimin iniziava a dubitare di sé.

I movimenti erano lenti e pigri, la spugna che stringeva nel pugno non faceva che scivolare, così come i piatti che tentava di trattenere senza però impegnare nella stretta la forza necessaria, il capo chinato come se non riuscisse a tenerlo dritto e gli occhi socchiusi, quasi completamente assente.

Lavorava presso un diner di bassi fondi dentro cui la gestione della sicurezza era vista come qualcosa di irrilevante. Capitava piuttosto frequentemente che i suoi pasti venissero serviti su piatti scheggiati, nientemeno che innocue imperfezioni ridotte in vere e proprie crepe con il passare del tempo, di cui nessuno si curava. Di certo non era compito di Jimin interessarsi ad un così futile dettaglio. Cosa poteva importagliene se quei piatti potessero cedere con tutto il pasto proprio tra le mani di un cliente, rischiando una denuncia. Al diavolo! Si diceva, raccolto nei suoi pensieri così profondi da scostarsi dalla realtà e, di conseguenza, bloccarsi su un unico livello di quello che poteva dirsi un gioco. Jimin non pensava di sprecare del tempo prezioso mentre, con una spugna insaponata, passava e ricalcava inutilmente su un percorso che aveva ricreato su un fragile piatto, almeno finché non ci rimise un dito. Sobbalzò quando percepì chiaramente la propria pelle venir lacerata da una crepatura trascurata e, in men che si potesse dire, il piatto era a terra in mille pezzi. Quel giorno era solo il quarto che rompeva e aveva promesso di non farlo più.

I suoi occhi studiarono la ferita aperta e sanguinante sull'incavo del pollice, riuscendo ad avere solo quella dentro il suo campo visivo, mentre tutto intorno aveva già preso a girare come su una giostra per bambini. Jimin non si accorse dei suoi capogiri se non quando distolse lo sguardo dalla sua ferita e dal sangue che aveva già raggiunto il polso, origliando sui passi furibondi del suo capo raggiungerlo da dietro. Erano così inconfondibili dal loro strusciare svogliatamente con tutta la suola a terra, forse troppo pesante era per sollevare adeguatamente le sue ginocchia, forse troppo pigro a giudicare da come se ne stava sul computer tutto il giorno a gustare frullati e ciambelle mentre loro gli lavoravano sotto il naso. Sempre pronto a mettere becco, sempre con le orecchie tese, sempre con gli occhi addosso, che alla fine, Jimin, quasi si sentì sollevato di vedere tutto nero prima ancora che questi cominciasse ad urlargli contro quanto fosse inutile alla società.

𝘴𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘱𝘪𝘵𝘺 ⦂ 𝘺𝘰𝘰𝘯𝘮𝘪𝘯Where stories live. Discover now