𝟏𝟐.  𝒇 𝒂 𝒄 𝒐 𝒏 𝒅 𝒊 𝒂

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𓆨



Mentre con la sinistra manteneva lo sterzo, con la destra sbloccava lo schermo del cellulare cominciando a sfarfallare con lo sguardo tra la strada e la lista di nomi in rubrica su cui continuava a scorrere. Poi una fitta all'altezza del petto lo aggredì, allora riconobbe che il suo subconscio aveva già trovato il nome di Jimin, prima che i suoi occhi tornarono sui pixel che disegnavano quelle banali lettere le quali, in compenso, ricreavano il suo bellissimo nome; un nome che scivolava armoniosamente sulla sua lingua, persino in un momento così sbagliato.

Prima di aprire l'icona che mostrava il dolce volto di Jimin, quando ancora i suoi capelli erano di un biondo omogeneo, Yoongi lanciò lo sguardo sullo specchietto retrovisore che inquadrava Jiyoon alla perfezione. Il suo volto era in parte sepolto dall'imbottitura del giubbotto, quando la cerniera era stata tirata in alto sino all'ultimo incastro e il capello la copriva fino alle sopracciglia. Di lei era evidente solo il fatto che dormisse profondamente. Piangere tutto il giorno alla fine aveva dato i suoi frutti, peccato che a Yoongi, quelle lagne disperate che sembrarono chiamare il nome di Jimin, gli avevano provocato l'effetto contrario.

Ora era lui ad aver bisogno di Jimin anche se non l'avrebbe mai ammesso. Aveva per l'appunto escogitato un piano strategico: quando avrebbe dovuto svegliare Jiyoon per farla mangiare, le avrebbe fatto una sorpresa bellissima facendole trovare Jimin.

Non era stato tutto il pomeriggio a subirsi il pianto isterico di sua figlia buttato ai quattro venti dopo che per tanti anni il suo l'aveva tenuto nascosto anche e soprattutto da sé stesso, quindi se lo meritavano entrambi, dannazione!


Aprì finalmente il contatto tornando con gli occhi sulla strada. Con la stessa mano scalò di marcia, allontanando per un lungo momento quel nome dalla sua vista, finché poi tornò e lo stesso i suoi occhi su quel dannato schermo.
C'era una volta, Yoongi, capace di fare qualcosa senza compiere la stronzata di fermarsi a pensare. Ecco, di quel Yoongi non c'era rimasto più niente.


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Jimin si sfilò il capello smontando la sua capigliatura e mentre con due dita pettinò le ciocche che s'erano sollevate, i suoi occhi studiarono approfonditamente la location accattivante dell'edificio suggeritogli dal piccolo volantino che aveva seguito. Aveva tutto l'aspetto di un night di lusso, con tanto di pali lucidati sulla pista da ballo. Rabbrividì al pensiero di essere là, nel posto meno adatto a lui.

Certo, c'era anche del buono in quel luogo, come la tenue luminosità che avrebbe potuto fargli comodo per nascondersi qualora avrebbe sfilato un indumento. Forse oltre a questo in effetti non c'era un bel niente di buono. I tavoli sostavano fin troppo vino al piccolo rialzo del palcoscenico; la superficie di quest'ultimo era estesa, spaziosa, fin troppo. Come avrebbe fatto a presentarsi lì sopra? Come avrebbe fatto a muoversi davanti a innumerevoli occhi solo per lui? Come si sarebbe mosso? E se qualcuno l'avrebbe toccato?

Le questioni si accatastavano l'una all'altra, e per il momento non c'era interrogativo smaltibile, solo un interminabile chiasso che se ne stava contenuto nella sua testa, a riservare tutte le sue conseguenze su di lui, come il suo mal di testa.

La vibrazione del suo telefono lo rianimò dalla sua pausa riflessiva e Jimin si mosse alla svelta per recuperarlo, quasi impaurito che la suoneria potesse attirare l'attenzione di qualcuno. Non c'erano molte persone, certo, alcune se ne stavano per fatti loro tra i tavoli, a chiacchierare, altri erano troppo impegnati a bere solitari il proprio bicchiere per annegare lo sconforto nell'alcol in attesa che gli spettacolini iniziassero; nessuno avrebbe badato alla sua stupida suoneria, o almeno così sembrava.

Quando recuperò il telefono, il nome di chi lo stava chiamando gli arrivò come un pugno in un occhio. Aggrottò le sopracciglia non riuscendo più neppure a sentire le note che componevano la sua suoneria, né tanto meno quelle della musica imposta come sottofondo alla struttura.

Era da così tanto tempo che Yoongi non lo chiamava che s'era dimenticato cosa si provasse. Un miscuglio tra paura e ansia con un evidente batticuore indecifrabile.

Che comunque lui non sentisse più alcuna melodia non significava che non ci fosse affatto. Magari non disturbavano lui quelle stridule note ma qualcuno ne udì la prepotenza e fu solo grazie a loro che Jimin venne finalmente accolto da un paio di occhi color nocciola. Se il pensiero di essere al posto sbagliato fino a poco prima era risolvibile con la sua fuga, adesso era in trappola.

"Serve qualcosa?" mentre con la coda dell'occhio, il barista, era rimasto a seguire pazientemente i movimenti del nuovo arrivato con curiosità verso il suo aspetto distinto dal resto della marmaglia che piuttosto si buttava sul bancone dopo il primo passo all'interno dell'edificio, con la sua chiassosa entrata decise di volerne sapere di più.

Jimin abbandonò Yoongi per incrociare il volto dello sconosciuto, chiudendo subito dopo lo schermo per silenziare la chiamata e far partire automaticamente la segreteria.

"Io – si fece vicino d'un paio di passi, balbettando ad evidenziare l'incertezza – io sto cercando un uomo, si chiama Henry, ho parlato con lui questo pomeriggio. Mi ha detto di passare a quest'ora."

Il barista sembrava aver capito ogni cosa ancor prima che Jimin finisse di parlare. Lo vide annuire con devozione ma al contempo riprendere a camminare con una certa furia dietro il bancone. In un tempo che Jimin non riuscì neppure a cronometrare, almeno cinque drink giacevano colmi di alcol, acqua tonica e ghiaccio sul bancone, sopra un vassoio.

"Tu stai cercando me." affermò il ragazzo senza neppure guardarlo, cominciando a tirar fuori dal frigo in basso, dietro il bancone, una serie di birre che Jimin non si disturbò a contare.

Scettico, Jimin si avvicinò sino a poggiare i palmi sul bancone, osservando attentamente il ragazzo per cercare di riconoscere in lui un po' di quell'uomo con cui aveva parlato alla fiera, nel parco. Questo sembrava decisamente più giovane, i capelli erano castani e mossi, scombinati al punto giusto da dargli un aspetto vagamente ribelle nell'eleganza che indossava con la sua camicia bianca e le maniche tirate su per lasciare scoperti i bicipiti. No, non era l'uomo tutto gel e smoking che gli aveva dato il bigliettino da visita.

"Tu non sei Henry." il pensiero si fece strada da solo sulle sue labbra, ricevendo in cambio un'occhiata ambigua dal giovane barista che sembrava addirittura più giovane di lui.

"Con questo ti meriti un premio." nel tempo in cui Jimin sbirciò sul fantomatico premio che gli si pose sotto il naso, il barista si mosse agile nel versare due diversi liquidi all'interno di quello che sembrò un dono della casa dall'elegante aspetto di un bicchiere di cristallo. Il miscuglio diede un colore delicato al contenuto del suo drink oltre che un odore quasi invitante. Il gin era sottile, perché coperto dal forte odore di melone che gli diede un idea su cosa gli fosse stato offerto: forse Midori? Un cubetto di ghiaccio raccolto direttamente con due dita, uno spicchio di limone e voilà, offerto con un piatto di denti così bianchi che sembravano dotati di luce propria.

𝘴𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘱𝘪𝘵𝘺 ⦂ 𝘺𝘰𝘰𝘯𝘮𝘪𝘯Where stories live. Discover now