04 - UN RITORNO IMPEGNATIVO (2/3)

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Mi trattengo dal rincorrere mio fratello con un'ascia o peggio con una ciabatta da scaraventargli addosso e mi aggrego alla massa informe di studenti che si appresta ad entrare nella scuola.

L'esterno del liceo si presenta con una facciata imponente in mattoni e l'ingresso principale è adornato da una serie di gradini che conducono a porte massicce.

Solco la soglia e la figura austera del mio bidello preferito si staglia davanti ai miei occhi. Le mani poggiate impazientemente sui fianchi mentre, rivolgendosi agli studenti che se la prendono con troppa calma, li minaccia di lasciarli chiusi fuori.

A molti la sua voce sembra antipatica e inflessibile. Ma non a me, a me fa sorridere. La vera abilità sta nello scavare le apparenze. O almeno è questo che diceva di continuo papà.

Rimuovere ogni pregiudizio o pettegolezzo e riascoltare: in quel momento puoi comprendere che non puoi giudicare qualcuno guardando l'errore commesso o la maschera che con costanza si ostina a indossare. Sono tutti così bravi a essere superficiali e parlare con saccenteria sollevando parole all'aria, ma pochi coloro che si sforzano a vedere oltre e smetterla di giudicare il mare da una stupida onda. Con gli anni ho perfezionato le mie capacità e adesso il tono di Marco, il bidello, è solo un po' rigido e profondo e lo usa per celare il dolore della perdita di sua moglie.

Mi guarda e sorride: <Felice di rivederti>. Passa qualche secondo e il sorriso svanisce, sostituito dall'esasperazione. <Volete muovervi o no? Sto chiudendo le porte!> dice avvertendo i ritardatari. Scuoto la testa mentre soffoco una risata: è sempre lo stesso.

Mentre raggiungo il mio armadietto, mi imbatto in persone che mi rivolgono smaglianti sorrisi e bentornata. Questo si che fa strano. Anche prima ero consapevole che chiunque in questa scuola sapesse chi fossi, eppure non mi deliziavano mai con sorrisi a 32 denti. Era piuttosto il contrario. Lo sentivo quando gli incrociavo nei bagni o fuori dalle aule che provavano risentimento e invidia nei miei confronti, mentre a bassa voce sussurravano. Giudicavano tutto, come ero vestita, cosa dicevo, come camminavo, se li guardavo, ogni dannata cosa.

Ripenso ancora a quanto successo e, in sovrappensiero, apro l'anta dell'armadietto. L'occhio mi ricade sui ricordi che lo adornano: è grondante di immagini colorate. Riconosco immediatamente quella con me e Josh il giorno in cui festeggiammo assieme il mio undicesimo compleanno.

Mia madre aveva garantito ci sarebbe stata. Cavolo, ero così felice. Fino a quando, un quarto d'ora prima di partire per dirigerci al cinema, una chiamata di lavoro l'ha ''costretta'' ad abbandonarmi con un bacio sulla fronte e con una speranza grigia stretta tra le mani.

''Non sono abbastanza per lei. Di nuovo. Non sceglierà mai me.''

Mi ricordo come fosse ieri, Josh che, con la delicatezza di chi con un sussurro potrebbe spezzare la fragilità di una fata esiliata, si inginocchia davanti a me. Con due dita mi solleva il mento per far incrociare i miei occhi arrossati per il pianto con i suoi di un incontaminato azzurro. ''Ti ci porto io, piccola fata'', sussurra chiamandomi come fa sempre quando sono triste. Al risuono di queste parole la sensazione di vuoto si attenua e il mio piccolo cuore torna a battere normalmente.

Di quel giorno ho impresso il momento dello scatto: noi due nel parco giochi davanti il cinema che, in seguito ad una battaglia coi popcorn avanzati, sorridiamo in un abbraccio alla camera. La sera tornammo a casa con i capelli pesanti a causa dei popcorn incastrati ma le anime più leggere, disperse nell'aria con una risata.

Qualcuno sbatte contro il mio braccio e mi fa rinsavire da un sogno ad occhi aperti. La campanella suona segnando l'inizio delle lezioni, così mi affretto a riporre la fotografia al suo posto e afferrare controvoglia il libro di storia.

Missing Piece - Il pezzo mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora