07 - UN BRUTTO RICORDO

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AMBER

<Quindi posso andare alla festa di questo weekend?>

La speranza mi invade mentre cerco un segno di assenso che trapeli dal suo viso buio. Non faccio che sperare ogni singola volta ma la mia vita non sarà mai paragonabile a quella dei miei coetanei. Tutti vanno a feste di questo tipo, si divertono e io posso solo limitarmi a scrollare le loro storie Instagram, la loro vita emozionante.

Tiene il viso rivolto verso la strada e non ruota il capo nemmeno quando ascolta le mie parole. L'unica risposta fisica è una stretta più decisa del volante.

<Ti ho detto che ci devo pensare> risponde austero.

<Dici sempre così e alla fine non vado mai> controbatto più per farglielo notare che per effettivamente lamentarmi.

<Sono io a decidere che tu lo voglia o no> enuncia per zittirmi.

<Basta, tu non sei mio padre, dì quel che ti pare ma indipendentemente da te io ci andrò> provo a replicare.

<No, non ci andrai> ripete bruscamente.

<Si, ci andrò e tu non potrai impedirlo. E poi mamma ha detto che posso andarci>

<Tua madre è un’ingrata, non rispetta le mie scelte nonostante tutto quello che ho fatto per lei. Senza di me a quest'ora non avrebbe nulla. A quanto pare dovrò rimetterla al suo posto>

Il terrore dissipa nei miei occhi e il cuore accelera sempre di più ma “devo cercare di nascondere tutto ciò o altrimenti si arrabbierà” penso inconsciamente.

Tuttavia, subito dopo, rifletto su questo atteggiamento insito in me: ormai vivo la mia vita pensando costantemente se un'azione che sto per compiere lo possa fare uscire fuori di sé, come una piccola scintilla per la benzina.

Stringo i denti e quando il semaforo diventa verde, decido di aprire la portiera (visto che guida piuttosto lentamente). Dopo il mio tentativo, che si è rivelato essere vano, la macchina prende un dosso che ci fa sobbalzare. Maledizione, la porta è bloccata.

Pensavo che il dosso avesse distolto la sua attenzione da ciò che avevo appena fatto ma non è stato così. 

<SI PUÒ SAPERE COSA DIAVOLO FAI?!> grida a voce alta perforandomi i timpani.

Sobbalzo dalla pura, sbatto le palpebre e delle lacrime mi rigano il viso. Contorco il viso per evitare riaccada e finalmente mi decido a rispondergli.

Provo a parlare ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Poi succede qualcosa di altrettanto strano, non dice nulla. Perché non dice nulla?

Si gira e senza staccarmi gli occhi di dosso, con un sorriso compiaciuto guarda come il peso delle sue parole è capace di farmi deteriorare lentamente, questo da ormai 8 anni.

<È tutta colpa tua, tu mi hai ucciso> sputa ferocemente.

<Cosa?> chiedo disorientata in un sussurro.

<Lo hai sempre fatto, tu con quella faccia da schiaffi. Uccidi, uccidi, uccidi. Nessuno ti vuole realmente bene. Tutti sono bravi ad abbracciarti mentre sei in piedi ma quando sprofonderai nella melma, non troverai nessuno pronto a immergersi, rischiando la sua stessa vita per te>

<Smettila> digrigno mentre un pensiero impellente lampeggia nella mia mente: “Perché non guarda la strada? Andremo a sbattere!”

<Fai sgretolare tutto quello che sfiori> aggiunse sollevando le mani dal volante.

<BASTA!> urlo illudendomi potesse smettere e riprendere il controllo del veicolo. Poggio le mani sulle orecchie per non ascoltarlo ma è inutile: le sue parole si insinuano direttamente nella mia mente.

<Nessuno ti vorrà mai bene. Hai visto? Nemmeno Josh ti voleva abbastanza bene da restare in vita per te. Ti ha lasciato di sua spontanea volontà> pronuncia prima che realizzi di stare a un passo dallo schiantarci contro il tronco di un albero.

<NO!> grido in preda al panico. Spalanco gli occhi e mi sollevo velocemente mettendomi seduta. Il pigiama gronda di sudore e le ciocche dei capelli sono appiccicate ai bordi del mio viso mentre con le mani afferro le pieghe delle lenzuola.

In quell'esatto istante, Jack spalanca la porta e si fionda su di me, circondando il mio corpo ansimante tra le sue braccia.

<È stato solo un incubo, adesso sei al sicuro> dice, accarezzandomi delicatamente la testa.

Raggomitolata su me stessa, mi aggrappo saldamente a Jack.

<Josh, sta bene? Sta bene?>

<Si, sta bene> mi rassicura Jack.

Quando le sue labbra modellano queste parole, la mia mente sembra calmarsi, accantonando la paura che potesse essergli capitato qualcosa.

Jack si alza ma prontamente gli afferro il polso per farlo restare qui con me.

<Ei, vado solo a prenderti un bicchiere d'acqua, torno subito>

Mi convinsi a lasciarlo andare e come di parola, tornò qualche minuto dopo portando, con cautela, un bicchiere d'acqua nella mano destra. Nell'altra mano stringeva anche un pigiama e delle lenzuola pulite che ha premurosamente sostituito mentre indossavo il pigiama pulito.

<Su, bevi>

Afferro il bicchiere e ingurgito tutto in pochi secondi sotto il suo sguardo vigile. Dopodiché, poggia il bicchiere vuoto sul comodino e solleva le lenzuola per poi distendersi alla mia sinistra.

Passò tutta la notte, proteggendomi da me stessa, in un abbraccio disordinato e a ogni mio piccolo movimento notavo come si svegliasse pronto a controllare fosse tutto apposto.

Sono questi piccoli gesti che trainano il nostro rapporto: non ci ricordiamo tutti i giorni quanto ci vogliamo bene a parole, ma lo facciamo stando accanto all’altro quando ha bisogno di aiuto, anche se questo significa passare notti insonni a verificare che non stia per avere un altro incubo.

Grazie a Jack, per la prima volta dopo mesi, questa fu una tra le notti più tranquille, in cui i sogni sono vividi e privi di ombre. In cui ogni ronzio o timore cessa di invadermi e il mio stesso respiro è l’unica cosa che culla il mio sonno.

Non sapevo che a quanto pare il destino avesse in serbo qualcosa di diverso per me e che questa piccola briciola di pace non sarebbe durata per molto.

Missing Piece - Il pezzo mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora