04 - UN RITORNO IMPEGNATIVO (3/3)

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AMBER

Prima che l'ora di italiano finisca e vada a pranzare, chiedo di andare in bagno e mentre mi insapono le mani al lavandino sento delle ragazze ridacchiare da un gabinetto.

<Ma hai visto che faccia falsa da cerbiatto aveva stampata?>

<Hahaha, infatti, ma poi dicono che ha avuto un'amnesia. È palesemente tutto inventato, vuole solo che le giri il mondo intorno e tutti si pieghino al suo cospetto> risponde l'altra ragazza.

Fisso il sapone scivolare via dalle mie mani sotto il getto d'acqua.

<Io dico che è colpa sua se il patrigno è morto nell'incidente: voleva creare la situazione che le avrebbe garantito di stare sotto i riflettori>

Chiudo il rubinetto.

Stringo le mani così forte che le nocche diventano bianche e le unghie mi lasciano dei solchi nella pelle. Spingo la porta del bagno e torno in classe. Mi risiedo vicino Nathan che, a quanto pare, segue i miei stessi corsi di storia, italiano, scienze e filosofia.

Prima mi ha rivelato che è nuovo qui e che non conosce nessuno a parte me, perciò, in un certo senso, è come se avessimo qualcosa in comune: ci sentiamo entrambi a disagio in questo posto e abbiamo entrambi un nome inglese.

Gli ho raccontato che pensavo di essere l'unica in questo paesino per via dei miei genitori che prima abitavano in Canada e per questo hanno dato a tutti e tre nomi di lì. Quando però si sono trasferiti qui, ormai era fatta. Invece, lui mi ha detto che nel suo caso era peggio perchè la sua famiglia ha sempre abitato in Italia. Perciò ogni volta che la gente gli chiede come mai abbia questo nome lui è costretto a rispondere che la motivazione ''non è un ricco nonno inglese bensì il fatto che ai genitori ne piacesse la musicalità''.

Dopotutto non è così male e poi fa delle battute tremende che mi fanno ridere proprio perché sono oggettivamente pessime.

Quando mi accorgo che il suo sguardo si poggia sulle mezzelune che costellano i miei palmi serro le mani e le porto sulle cosce. Sento i suoi occhi che mi perlustrano alla ricerca di risposte. Cerco di non farci caso e sposto la concentrazione sull'insegnante.

<Allora ragazzi pensavo di farvi fare ogni settimana una ricerca a gruppi o a coppie su temi di attualità. Ovviamente spazieremo: qualche volta prenderemo l'argomento da una notizia di un giornale, altre cercheremo di attualizzare contesti di qualche opera letteraria e così via. Ma, per stavolta, vi lascerò mano libera> annuncia alla classe.

Tutti formano immediatamente i soliti gruppi ed io non ho la più pallida idea di cosa fare. Mi pare di vivere questa scena per l'ennesima volta. Provo di nuovo la sensazione che più odio e che non riesco a scollarmi mai di dosso, è sempre con me in un angolo nascosto. Questa solitudine logorante che, se non riesco a reprimere, si incolla alla mia pelle.

<Che ne dici se facessimo il lavoro insieme?> mi domanda Nathan.

Sono leggermente impreparata, sembra quasi mi abbia letto nella mente comprendendo il mio imbarazzo. Mi affretto ad accettare la sua offerta imperdibile e, felice di essere scampata al disagio, ci scambiamo i numeri di telefono per accordarci sul luogo d'incontro.

In quell'esatto istante, mentre lo guardai digitare sullo schermo del mio cellulare, fu come se io e Nathan avessimo suggellato un patto silenzioso: aiutarci a vicenda per sopravvivere in quella scuola.

Missing Piece - Il pezzo mancanteWhere stories live. Discover now