08 - GIOVANNI AL ROGO

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AMBER

Fisso il volantino appeso al muro da minuti interminabili. Riguarda un corso di teatro della scuola che offre a chi vi partecipa ore di pcto e io non ne ho mezza.

La coordinatrice della nostra classe mi aveva convocata circa quindici minuti fa per invogliarmi a prendere parte a una qualche attività scolastica che, oltre a ‘’permettermi di socializzare’’, mi fornirebbe le fantomatiche 30 ore che a fine anno dobbiamo accumulare.

Mi ha sostanzialmente spinto davanti il tabellone sul quale sono affissi manifesti di ogni genere.

E adesso sono in preda a una crisi. Insomma, da un lato l’unico corso decente qui in mezzo è quello di teatro ma d’altro canto io non so recitare, né mi è mai piaciuto.

La professoressa, che mi osserva da ormai 10 minuti pieni scrutare la bacheca, o meglio il volantino riguardante il corso di teatro, mi invoglia ad aderire a quest’ultimo.

Faccio una smorfia che mi porta a rispondere con un grugnito di lieve disappunto.

<Peccato faccia pena a recitare> mormoro afflitta.

<C’è sempre modo di imparare!> esclama regalandomi una pacca di conforto sulla spalla.

<Si fidi, dice così solo perché è ignara dell’orrore a cui assisterebbe>

<Massì, quanto sarà mai terribile la tua recitazione> chiede scherzosamente.

La sua aura spiritosa si scontra con la mia espressione seria, se ne può quasi sentire il rumore.

<Se le rispondo che alle recite natalizie mi assegnavano di interpretare il ruolo dell’albero, le basta a comprendere? Il massimo che sono riuscita a ottenere alle elementari è stato fare la stella>

Affiora un senso di tentennamento sul volto della coordinatrice che si traduce nello spingere incessantemente gli occhiali sul naso appuntito.

Finalmente, anche questa povera donna comprende la gravità della situazione, perciò cerca con fatica una maniera per rimuovere l’ultimo granello di pazzia che mi farebbe lanciare in questa pessima idea.

Ma, quando si trova sul punto di compiere l’atto, Giovanni spunta da dietro la colonna stringendo tra le mani una pila di volantini riguardanti questo corso.

<Scusate, non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione> inizia, avviando il suo monologo da pavone imperterrito che ostenta il frutto del suo lavoro da disagiato. Per carità, ha tutta la mia approvazione ma venire qui a difendere il suo lavoretto dell’asilo mettendo di mezzo me, non lo accetto.

Infatti, come previsto prosegue:
<Mi è sembrato steste sminuendo il mio progetto, riducendolo ad un corso di teatro. Questo difatti, è molto di più, al suo interno è presente una combinazione di diverse arti, a partire dal teatro fino ad arrivare alla musica. Inoltre, ha come obiettivo la preparazione di uno spettacolo che quest’anno riguarderà ‘’La La Land’’. Visto che ricordo suoni il piano in maniera eccelsa…> si compiace, con le mani congiunte come un avvocato in fase di contrattazione e gli occhi chiusi che incorniciano un’espressione appagata.

Fino a quando incrocia la mia espressione furiosa. Già, probabilmente saranno stati i miei occhi a palla a farlo esitare. Oppure il segnale, muovendo la mano da sinistra a destra sul mio collo, che, non appena finito, se ne sarebbe pentito amaramente. Perché sospetto che sia stato proprio lui, con le sue
tattiche di estrapolazione di informazioni degne di Detective Conan, a saperlo?

Farfuglia strozzandosi con la sua stessa saliva la fine della frase: <...e, ecco, se non sbaglio c-canti anche molto b-bene> cerca di rimediare, non comprendendo stia solamente incrementando la sofferenza della sua morte.

Mi sbatto una mano sulla fronte diffondendo la mia disperazione nell’aria; non ce la posso fare.

<...quindi fa al caso tuo> termina il discorso grattandosi la nuca a disagio.

<Amber non sapevo fossi brava a suonare il piano e cantare, allora è fatta, ti iscriverai a questo corso> si affretta a concludere la professoressa. Stranita dal suo atteggiamento seguo la traiettoria del suo sguardo e noto che sta letteralmente sbavando dietro il mio professore di filosofia.

Penso sia l’unico professore che mi sta simpatico e se lo dico io vuol dire che lo è realmente. Ciò non significa che anche lui non sia preda dei suoi cinque minuti se qualcuno lo fa alterare; non si scampa a ramanzine plateali nemmeno con lui. Penso mi stia a cuore perché conosceva papà e rappresenta l’unica persona che mi lega ancora a lui. Ha una fitta rete di ricordi con papà, e ogni momento che condivide con me mi avvicina sempre più a lui, impedendo che la memoria che ho di lui sfumi, assieme alla sua voce che ormai è diventata solo un eco lontano.

Poi c’è da dire che a differenza di altri professori qui dentro, si vede lontano un miglio quanto ama il suo lavoro e lo trasmette anche a noi studenti quando spiega. È capace di non far addormentare Marco, un mio compagno di classe particolarmente incline a recuperare a scuola le ore di sonno perdute a cazzeggiare la notte.

Proprio per questo motivo, quando realizzo che adesso ho proprio una sua lezione, l’astio nei confronti dell’intervento non richiesto di Giovanni si attenua.

Mi dirigo in classe ma ad ogni passo una voce conosciuta diventa sempre più chiara. A qualche metro di distanza dall’entrata sento provenire la voce arrabbiata di Nathan. Mi avvicino alla porta ma la curiosità mi spinge a nascondermi per sentire chi sia l'artefice del suo malumore.

<Secondo me è inutile, questo non serve a nulla. E poi non era nemmeno negli accordi, non sono stato assunto per fare il lavoro di qualcun altro; eppure non ho ancora ricevuto il mio stipendio, quei soldi mi servono e lo sai>

Questo è strano, con chi può star parlando? La curiosità a volte mi logora e la mia decisione di origliare il suo dialogo non ha fatto che incrementarla ancora di più.

Tuttavia, realizzo di star ascoltando una chiamata privata e il senso di colpa mi fa agitare spingendomi a solcare la soglia.

Non appena mi vede, chiude di scatto la chiamata.

Missing Piece - Il pezzo mancanteWhere stories live. Discover now