10 - INFORMAZIONI PREZIOSE (2/3)

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NATHAN

Quando ho scoperto sapesse suonare il pianoforte non pensavo fosse così brava. La tecnica è sovrastata dalla passione che traspare ad ogni battito di ciglia.

La sua esecuzione è carica di emozione, con un tocco delicato che trasmette sia vulnerabilità che forza. Le sue dita scivolano sui tasti con grazia, esprimendo emozioni che vanno dalla dolcezza del tocco alla malinconia della sua solitudine. La musica riempie la stanza, avvolgendo Amber in una bolla che la isola dal mondo esterno.

Mentre suona, chiude gli occhi, ed inizia a cantare lasciandosi trasportare dalla musica, con il viso che riflette una serie di emozioni mutevoli: prima un sorriso timido e subito dopo una piega preoccupata sulla fronte e le sopracciglia incurvate.

La sua performance sembra essere un viaggio emotivo che la porta a navigare nei suoi desideri più profondi e le sue paure più segrete. Oltre che comunicare sé stessa, pare stia vivendo la musica in ogni sua sfaccettatura.

Quando l'ultima nota si ferma e il silenzio riempie la stanza, parte un applauso spontaneo da parte di tutti.

<Sei davvero brava!> mi complimento con lei aspettando che raccolga la sua roba per uscire.

<Grazie> mi risponde con esitazione e diffidenza, quasi non fosse abituata a ricevere complimenti.
Arrossisce mentre continuo a guardarla ripensando alla sua esibizione di poco fa.
Fino a quando qualcuno sbotta improvvisamente urlando: <ANDIAMO IN GITA A TRIESTE!>

''Fantastico -penso- devo riferirlo al mio capo quindi sono costretto a sentire la sua voce di nuovo''

Si scatena un baccano assurdo tra gente che pensa cosa mettere in valigia e persone che vedono cosa prevede il programma. Poi ovviamente ci sono altri che sclerano e basta, non c'è nessun motivo preciso, a parte fare atmosfera.

<Ci andrai?> mi chiede con in mano gli spartiti.

Ci dirigiamo lentamente verso l'uscita per raggiungere casa sua per la ricerca. Non l'avevo mai notato ma adesso è evidente sia più bassa di me di diversi centimetri.

<Penso di si> le rispondo, non conoscendo ancora la sua risposta.

<Anch'io> dice con il volto che si illumina.

Il suo sorriso è così perfetto che assomiglia a un raggio di sole che filtra attraverso le nuvole dopo una giornata di pioggia: inaspettato, ma capace di trasformare tutto intorno. È quel tipo di sorriso che non si limita a muovere le labbra, ma che fa brillare gli occhi. Non è solo la curva dolce delle sue labbra a renderlo speciale, ma la genuinità che traspare da esso.

Senza accorgermene siamo arrivati davanti al cancello della villa che si erge maestosa. Il giardino, un'oasi di verde che circonda la villa, offre un contrasto vivace al bianco e grigio dell'edificio. La sua struttura a due piani riflette un'eleganza senza tempo. Il cancello imponente e accogliente allo stesso tempo, sembra invitare i visitatori a scoprire i segreti celati dietro le sue mura.

Nonostante la sua bellezza architettonica, la villa emana un'aura di tristezza, come se le sue pareti bianche fossero spoglie di ricordi ed emozioni. L'assenza di risate, di passi sui pavimenti, di voci che si rincorrono tra le stanze, lascia un vuoto palpabile.

Il cancello sembra custodire il silenzio di un'abitazione senza anima. La villa, è un monumento alla malinconia, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e dove ogni angolo sussurra la mancanza di ciò che è stato e non tornerà.

Apre il portone e mi affretto a seguirla all'interno, caratterizzato da un trionfo di sfumature di grigio che si estendono dalle pareti ai pavimenti, creando un ambiente certamente sofisticato ma al contempo vuoto. È tutto freddo, non c'è nemmeno una foto di famiglia, solo l'arredamento moderno impeccabile che pare un insieme di oggetti senza vita, in attesa di un calore umano che non arriva. Ogni stanza, pur nella sua impeccabile cura estetica, è priva di quel tocco personale che trasforma una casa in un luogo dove si intrecciano storie e si costruiscono ricordi.

<Vuoi dell'acqua?>

<Si, grazie>

<Ok, tu intanto accomodati e fai come fossi a casa tua> mi dice prima di dirigersi in cucina.

Quando sento lo scroscio dell'acqua la curiosità mi pervade e mi affretto a frugare tra i libri disposti accuratamente nel mobile. Ne sfioro i dorsi lasciando vagare i polpastrelli alla ricerca di qualcosa di indefinito mentre con lo sguardo scandaglio altri scaffali. Fino a quando mi imbatto in qualcosa di differente al tatto. Prontamente lo afferro, liberandolo dalle pagine in cui era incastrato e mi accorgo che si tratta di un bracciale di un tessuto morbido e leggero, quasi etereo al tatto.

Il colore è un blu profondo che ricorda il cielo notturno e al centro, la coccinella in oro brilla con una luce tenue, come una stella guida in una immensa vastità celeste.

Stringendolo, avverto la morbidezza del tessuto contro la pelle. Il bracciale è leggero, quasi come se non pesasse nulla, eppure sembra essere qualcosa di importante. Anche se si trovava abbandonato tra pagine scolorite da chissà quanto.

Non so come spiegarlo ma nonostante si tratti solo di un pezzo di tessuto, il bracciale sembra avere una sua vita, come se fosse impregnato di storie non raccontate e di emozioni nascoste.

Ad attrarmi più di tutto è il simbolo della coccinella in oro. È come se percepissi il potere del suo valore senza riuscire a comprendere a cosa corrisponda.

Sento i suoi passi avvicinarsi sempre di più, quindi avvolgo il bracciale nella mano sinistra che nascondo velocemente nella tasca dei pantaloni.

<Ecco a te> asserisce porgendomi il bicchiere colmo.

Lo afferro e sorseggio l'acqua lentamente mentre lei sistema tutto l'occorrente sul tavolo del salotto.

Passiamo l'intero pomeriggio a produrre il testo senza alcun tipo di pausa a parte qualche sosta in bagno. Speravo di scoprire qualcosa in più su di lei ma il mio tentativo si è rivelato un buco in acqua. A meno che non provi a...

<Amber> attiro la sua attenzione.

<Dimmi>

<Non vorrei sembrare scortese o altro ma mi chiedo da quando sono entrato come mai non sia presente nemmeno una foto di famiglia>

Non mi risponde. Passano 1..5..10..secondi.. Oh merda. Potrei aver distrutto tutto.

<Oddio, scusa. Sono un'idiota, non sono affari miei. Fai come non te l'abbia chies->

<Nono, tranquillo> mi zittisce.
<Qui ci viviamo solo io e mio fratello. Mia madre è via per lavoro praticamente sempre e il mio patrigno...credo tu sappia la storia>

<Vuoi dire che non hai alcun ricordo della tua famiglia?>

Sembra iniziare a rifletterci su seriamente scandagliando gli anni. Poi d'improvviso le si illuminano gli occhi.

<Dovrebbe esserci una scatola piena zeppa di foto nello stanzino, torno subito>

Corre alla ricerca della scatola e dopo pochissimo sfreccia con in braccio un cartone più grande di lei che sorregge a stento. Mi avvicino, andandole incontro per darle una mano e poggiamo il più delicatamente possibile la scatola sul tavolo ma provocando ugualmente un tonfo secco.

Prendo qualche immagine e noto che in gran parte delle foto sfoggia un sorriso che le modella le guance paffute da bambina oppure gioca nel prato con delle coccinelle verso le quali è completamente ammaliata. Gli scatti paiono fermarsi tutti a quando aveva all'incirca dieci anni.

Non percepisco nessun movimento perciò, stranito, alzo lo sguardo e la visione che mi spara davanti mi scombussola.

Missing Piece - Il pezzo mancanteWhere stories live. Discover now