XI: Sometimes "I'm sorry" is not enough

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Lucy

Sostenni lo sguardo cupo di Natsu con tutta la forza che avevo, sentendo Juvia al mio fianco e gli sguardi di Levy e Gajeel addosso.

Nessuno osò fiatare o parlare, l'unico a muoversi fu Gray che, lanciando la sua sigaretta lontano da sé con due dita, scivolò lentamente sullo schienale della panchina, e la sua voce, poco dopo, arrivò forte e chiara alle mie orecchie:

<<Non vuole relazioni nel nostro gruppo, e ha ragione. L'amore porta solo alla distruzione dei rapporti>>

Schiusi leggermente le labbra, guardando, incredula e confusa, il rosato davanti a me, il quale, dopo le parole del suo migliore amico, rilassò i pugni.

<<Io non ho problemi se loro due escono insieme, li ho se viene coinvolto anche il nostro gruppo>> continuò Natsu, alzandosi poi il cappuccio e regalandomi un piccolo sorriso.

Rimasi a corto di parole, non sapendo che dire.

Gray si alzò dalla panchina, tossicchiando leggermente e stiracchiandosi con nonchalanche, ignorando gli sguardi confusi di noi ragazze e quello deluso di Gajeel.

<<Detto questo, buona serata a tutti>> disse il Dragneel, regalandoci un finto sorriso, prima di voltarsi ed incamminarsi, con Gray al suo fianco, verso il parcheggio del luogo, lasciando Gajeel lì, come un allocco, a fissarli allontanarsi da sé.

Continuai a guardare, con occhi vuoti, la schiena di Natsu diventare sempre più piccola, fino a scomparire dietro ad un angolo.

Era incredibile come, attraverso solo quella rivelazione, avessi conosciuto un lato di lui che mai mi sarei aspettata d'incontrare.

-

Erza

Camminai con una pila di documenti alta almeno un metro tra le braccia doloranti, cercando in tutti i modi di non finire con il culo per terra e far cadere quei centinaia di fogli che, a fatica, stavo trasportando.

I miei lunghi capelli rossi erano legati in una crocchia disordinata, con una matita infilata nel mezzo. Gli occhiali riposanti che stavo indossando continuavano, fastidiosi, a calare sul ponte del mio naso, costringendomi ad arricciarlo ogni due per tre.

Imprecai stretto tra i denti quando dovetti aprire, con solo un piede, la porta dell'ufficio in cui svolgevo i miei incarichi. Spinsi il legno con un piede, facendolo scontrare contro la parete e liberandomi così il passaggio.

Lasciai cadere, stremata, quella pila di documenti sulla mia scrivania, tirando un sonoro e profondo respiro di sollievo. Posai i palmi sulla superficie liscia del tavolo, respirando profondamente, a testa bassa, per riprendere fiato.

Aspirai dal naso, muovendo in modo circolare il collo per sgranchirlo, sfilandomi anche la matita dai capelli e lasciandoli liberi di ricadere lungo la mia schiena.

Mi sistemai al meglio possibile le ciocche scarlatte, pronta a mettere in ordine gli ultimi documenti ed essere così libera di poter tornare a casa.

La luce rossastra del tramonto penetrava ormai dalle finestre dell'istituto, colorando il cielo e le poche nuvole con colori accesi e, a dir poco, spettacolari.

Papà mi diceva sempre che io e mamma gli ricordavamo i crepuscoli, non solo per il colore scarlatto dei nostri capelli, che riprende una delle sfumature che il Sole può assumere, ma anche per la nostra straordinaria bellezza, capace di lasciarti senza parole.

Al sol pensiero di quelle dolci parole, sorrisi.

I miei occhi rimasero, però, ben poco ad osservare il paesaggio fuori dalle vetrate della scuola, perché il bussare alla porta mi costrinse a voltarmi.

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