Capitolo sei

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Capitolo sei.

«Ehi, non pensare che non sia felice di vederti, ma perché sei in pigiama?».

Guardo mio padre, con le lacrime agli occhi. È stato più che altro l'istinto a portarmi qui. Da quando ho saputo cos'ha fatto per trovarmi quando Neal mi ha rapita mi sono resa conto che l'unica figura che in tutta la mia vita mi è mancata adesso vuole prendersi cura di me. È questo è per me di una bellezza unica.

«Posso dormire qui con te?», gli domando.

Lui, sulle prime, è scioccato. La sua espressione cambia velocemente. Mi tende la mano ed io la prendo. Mi trascina dentro e si siede sul divano. Mi metto accanto a lui. «Tua madre è a Strasburgo», mi dice.

«Non lo sapevo», mormoro, sommessamente.

«Un viaggio con la parrocchia. Vanno in un centro per anziani».

Annuisco, incapace di dire altro.

Lui sembra intuire la mia poca voglia di parlare, così prende il telecomando della TV, abbandonato sul tavolinetto basso del salotto. Me lo mostra, con un espressione interrogativa.

«Sì, vediamo la TV», rispondo alla sua domanda inespressa.

Mio padre accende il televisione e io tento di mettermi più comoda sul divano.

«Vuoi...metterti vicino a me?», mi domanda, titubante.

Lo guardo. Nel buio della notte, illuminato solo dallo schermo della TV. Ci somigliamo così tanto. Sembra di guardarsi allo specchio in versione maschile e attempata. Gattono verso di lui, fino a sedermici accanto. Poso la testa sulla sua spalla ed è come se tutti i miei mali sparissero. Mi sento così confortata, così serena, così protetta. Il sonno viene a farmi visita prima del previsto e senza nemmeno accorgemene crollo in un sonno senza sogni.

****

C'è molta luce, a dispetto del mio oblio interno. Non so se sono riuscita a mettermi qualcosa di caldo addosso, ma la mia temperatura si è alzata di parecchio e mi sento a posto. Mi sembra di essere nel posto più comodo del mondo, nel posto...giusto. In un posto dove mi sento un'estranea.

Quando sollevo le palpebre pesanti noto subito il pomo d'Adamo e qualche accenno di barba bionda sulla mascella di mio padre.

"Papà!"

Senza fare rumore sollevo il braccio e accarezzo il profilo dell'uomo che mi assomiglia così tanto, percorro i lineamenti tanto simili ai miei ed i capelli della mia stessa tonalità bionda, ma striati di grigio. Due grandi e rassicuranti occhi color nocciola incontrano.

«Ella», mormora mio padre e la sua voce profonda gli vibra nel petto, «come stai?».

«Meglio di quanto mi meriti», sussurro.

«Questa risposta dev'essere un qualcosa per farmi capire che hai litigato con Arran ieri sera?».

Ieri sera. Ho una miriade di immagini in testa, e vorrei dirgli qualcosa, anche se penso che non gli piacerebbe sapere del sesso anale. Perché, lo sappiamo tutti, ci sono cose che un padre non deve mai sapere di una figlia. MAI. E non posso nemmeno dirgli che sono una sciocca, che ho sempre gettato all'aria ciò che Arran voleva insegnarmi. Mi ha ripetuto fino allo sfinimento che sono migliore di un corpo sinuoso e sexy, invece io ho continuato ad usarlo come arma contro di lui.

«Una specie», ammetto.

«Lui sa che sei qui?».

«No».

Lui mi salveràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora