Capitolo diciotto

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La parola ''fatica'' non è abbastanza per tutto questo. C'è così tanto lavoro da fare in orfanotrofio che non ho nemmeno il tempo di grattarmi la testa per l'intero mese.

No, aspettate, in realtà l'ho fatto. E tanto, visto che ho preso i pidocchi.

Sì, avete capito bene, ho detto pidocchi.

La situazione igienico-sanitaria di questo orfanotrofio, prima che Arran ci mettesse le mani, era disastrosa. Abbiamo preso tutti i pidocchi: io, il volontario Maicol, Arran e tutti i bambini.

A causa di tutto quel trambusto ho dovuto tagliare i miei splendidi capelli. Mi arrivavano fin sotto la vita, quando erano lisci, adesso scavalcano di poco i seni. Dio, adoravo i miei capelli!

Avreste dovuto vedere la scena: io ed Arran che ci ''spidocchiavamo '' a vicenda come due scimmie.

È stata dura debellare quelle minuscole bestie da tutte le teste dei ragazzini, ma dopo la disinfestazione è stato più facile.

Sono stanchissima, ma a dirla tutta anche triste. Il mio tempo qui è terminato, è scaduto il mese che io ed Arran ci eravamo presi e adesso dobbiamo proprio tornare a lavorare, i pazienti ci reclamano da giorni e Karen è diventata piuttosto isterica dovendosela cavare da sola con tutti. Presto i bambini saranno adottati, ma Arran ha voluto comunque rimodernare l'ambiente, nel caso qualche bambino fosse rimasto.

Lascio i bambini nella stanza comunitaria e mi dirigo verso le altre stanze, per vedere come vanno i lavori.

Adesso nel corridoio e nelle altre stanze c'è più caldo grazie agli infissi nuovi di zecca e ai caloriferi che hanno montato, nell'aria non c'è più quella puzza di muffa. I bagni sono stati disinfettati e piastrellati a dovere, le camere da letto hanno finalmente delle lenzuola nuove e delle pareti tinteggiate di fresco. Esco fuori dallo stabile e metto una mano sopra gli occhi, per guardare senza che il sole mi accechi. C'è un operario che sta tagliando l'erba in eccesso del giardino mentre Arran è intento a montare qualcosa che sembra uno scivolo per bambini. Mi avvicino a lui, che mi vede quasi subito e mi sorride allegro, come se fosse un raggio del sole cocente sopra le nostre teste, e si pulisce il sudore dalla fronte.

«È tutto okay lì dentro, amore?», mi chiede.

Annuisco, mantenendo la mano sopra gli occhi, perché altrimenti non vedrei un fico secco. «Sì, ho lasciato i bambini un po' liberi dopo la lezione di grammatica. Hanno fatto dei grossissimi progressi, adesso quasi l'intera classe sa leggere».

Lui mi fa un sorriso tutto denti e mi si stringe lo stomaco da quant'è bello. «Sono fiero di te, tesoro. Hai reso quella banda di scalmanati degli scolaretti coi fiocchi. So che non sei d'accordo, ma so anche che sarai una madre perfetta, un giorno».

Mi ritrovo a sorridere anch'io, ma come un'ebete. L'idea di diventare madre mi fa ancora paura, ma non ribrezzo come un tempo. «Sono contenta che tu lo pensi».

Ad un tratto, certi movimenti attirano la mia attenzione. Sollevo lo sguardo e vedo circa una decina di persone che vengono verso di noi.

Anche Arran se ne accorge, e mi viene vicino. «Che succede?».

«Non so».

La carica è guidata da un Maicol tutto sorridente, che muove le braccia in tutte le direzioni.

Corro verso di lui. «Ehi, che succede?», chiedo poi.

Nel frattempo Arran mi ha raggiunta e mi stringe a sé. «Chi sono tutte queste persone?», chiede anche lui a Maicol.

Lui mi salveràWhere stories live. Discover now