Capitolo dieci

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CAPITOLO DIECI.

Sento il tintinnio dello scaccia pensieri attaccato alla maniglia della porta a vetri dell'ambulatorio ma non sollevo la testa, sono troppo impegnata a sistemare l'agenda degli appuntamenti per alzare il capo. Chiunque sia, mi parlerà quando avrò finito.

«Non ci posso credere! Tu sei Ella!».

Sollevo la testa e stringo gli occhi a fessura, cercando di mettere a fuoco la donna dall'altezza assurda di fronte a me.

«Come posso aiutarla?», chiedo, squadrandola dal basso verso l'alto.

Indossa una camicia di chiffon bianca e un paio di pantaloni aderentissimi neri, in tinta con le decolté tacco tredici. È alta quanto una giraffa e magra quanto un chiodo.

«Ella, sono io...sono Sophie!!!», esclama, perforandomi i timpani.

Oh Gesù santo. Non posso credere che sia proprio lei. Sophie, la mia ex compagna di scuola. Sophie, quella che si è presa le verginità del mio Arran...Sophie Manico Di Scopa!

«Sophie!?», esclamo, inorridita.

Il taglio ispido alla maschietto di un tempo è scomparso per fare spazio a una criniera di capelli neri e lucidissimi arricciati sulle punte adagiate con cura sulle spalle. Gli occhi piccoli e a mandorla sono stati letteralmente rimpiazzati da due sottospecie di pianeti blu grandi all'inverosimile. Ha un'espressione corrucciata, se così si può definire. Sembra che delle mollette le stiano tirando la pelle del viso dietro le orecchie. È talmente tesa che non riesce nemmeno ad assumere un'espressione che non sembri finta.

«Ella Nigars! É passato un secolo!», esclama.

Mi porto una mano all'orecchio, per attutire il dolore che mi provoca il timpano che corre all'impazzata. Se sta ancora qui diventerò sorda.

«Dieci anni, circa», commento.

«Ma certo! Caspita, non sei cambiata per nulla!», esclama.

«Tu invece...sei diversa. Hai le tette, adesso», osservo, senza troppo tatto.

Fa una smorfia, per quanto la pelle tesa glielo permetta. «Sempre schietta, a quanto vedo».

«Questo non cambierà mai. Qual buon vento, Sophie?».

«Ho un appuntamento con il dottor...aspetta! Tu lavori per Arran?», domanda, con un tono che supera chissà quanti decibel.

Appuntamento? E quando lo avrebbe preso? L'avrei saputo! Sollevo un sopracciglio. «Sì, lavoro per Arran. Fammi controllare se sei in agenda. Non ricordo di aver avuto il...piacere di parlare con te».

Ed è per questo che le mie orecchie funzionano ancora.

«Non è necessario. Ho chiamato sul suo numero personale e mi ha garantito un appuntamento per oggi».

Lo sentite anche voi, vero? Già. Quel desiderio irrefrenabile di strozzare Arran. Ma non ho molta scelta. Mi alzo dalla sedia e ringrazio Dio per essermi messa i tacchi alti, stamattina. Almeno così le arrivo sotto la spalla.

«Accomodati qui, vado ad avvisare Arran».

Entro nel suo ufficio a passo di carica, senza nemmeno bussare. «Saresti così premuroso da dirmi perché Sophie Manico Di Scopa è sulla porta e mi sta perforando i timpani?».

Solleva lo sguardo dal macchinario per l'elettrocardiogramma e per un attimo mi perdo nei suoi occhi. La sua espressione dice a caratteri cubitali: "sono nella merda". Quanto non si sbaglia! «Sophie è lì fuori?», mi chiede con voce stridula, come se si fosse strozzato con la sua stessa saliva.

Lui mi salveràWhere stories live. Discover now